Volentieri
diamo risalto ad un Comunicato di don Nicola Bux concernente i lavori
dell'Assemblea Straordinaria della CEI in corso sino al prossimo 15 novembre,
presso l’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, in cui, "all’ordine del
giorno – come riferisce una nota dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni
sociali – innanzitutto (è) il tema della liturgia: la votazione della nuova
traduzione italiana del Messale Romano".
All’affievolimento
della capacità di comprensione della natura immutabile della sacra liturgia
(cfr. Sacrosanctum Concilium, cap. 1) hanno contribuito non solo
l’ignoranza diffusa di essa nel clero e, di conseguenza, nei fedeli; ma vi ha
contributo ancor più la sperimentazione, spasmodica e continua, delle
c.d. emozioni-shock, come le definisce Michel Lacroix (Il culto
dell’emozione, ed. Vita e pensiero, Milano, 2002), cioè le emozioni
particolarmente intense e potenti (v., p. es., la liturgia dei gruppi carismatici),
che, a lungo andare, anestetizzano la nostra capacità di partecipare in maniera
oggettiva, esaltando il soggettivismo e le emozioni dell’individuo.
Per
partecipare, e potremmo dire per comprendere ancor prima, in effetti, la Sacra
Liturgia – dove l’attributo “sacra” indica la presenza divina – è
necessario aver chiaro che il culto reso a Dio mette a tacere l’ego, al
fine di raggiungere la Verità in esso racchiusa. Gli orientali tale aspetto lo
comprendono assai bene. Per questo sono stati attenti a non cadere nella
tentazione di cambiare continuamente i libri liturgici.
Nikita Pustosviat, Disputa sulla concessione della fede tra un prete Vecchio Credente con il Patriarca Ioakhin, 1881, Mosca |
Si ricordi in proposito
lo scisma, raskol, scaturito in Russia a metà del ‘600. La riforma dei
libri liturgici introdotta dal patriarca di Mosca, Nikon, il quale voleva
ristabilire l’uniformità tra le pratiche liturgiche della chiesa
greco-ortodossa e di quella russa, portò alla divisione della chiesa russa in
chiesa ortodossa ufficiale e movimento dei Vecchi Credenti. In quella
occasione, le innovazioni incontrarono una forte resistenza sia tra il popolo
sia tra il clero, che discusse a lungo sulla legittimità e correttezza di tali
riforme, che non rispecchiavano le tradizioni dell’ortodossia nelle terre
russe. Per imporre poi queste riforme, appoggiate dallo zar Alessio della
stirpe dei Romanov, ci furono persecuzioni e soprusi (famoso p. es. rimase il
rogo del vescovo Pavel di Kolomna, nel 1656, fermo oppositore di questa
riforma).
Guardando
a noi, ci si domanda se sia necessario apportare ulteriori cambiamenti ai testi
del Messale romano nella prossima edizione italiana. Da quello che si sa, è
stata adottata la politica dei “due pesi due misure”: cambiamento della prima
frase del Gloria, per essere fedeli
al testo lucano, e non cambiamento del celebre pro multis (che si dovrebbe rendere “per molti”) della formula
consacratoria, che, invece, rimarrà “per tutti” in omaggio all’ideologia
inclusivista; per non parlare dell’annunciata variazione della petizione del Pater noster “non ci indurre in
tentazione”, dove, appunto, non si rimarrà fedeli al testo originale greco e
latino.
Ci
si domanda, inoltre, in un momento così basso di affluenza dei fedeli alla
santa Messa e di frequenza ai sacramenti, se fosse proprio necessario apportare
variazioni simili, invece di promuovere semmai – come sarebbe stato auspicabile
– una diffusa missione popolare vista l’ignoranza catechistica e l’immoralità
diffuse. Non sarebbe il caso di investire qui gli sforzi apostolici, o
pastorali che dir si voglia, nonché economici?
Constatando
l’abuso diffuso tra i sacerdoti di cambiare a proprio piacimento i testi
liturgici, non ci si dovrà meravigliare se taluni volessero rimanere fedeli
all’edizione attuale del messale in lingua italiana, invocando una sorta di
obiezione di coscienza. Chi potrebbe a questo punto parlare di abuso?
Ricordiamo
l’esperienza in Argentina, ove ciò è già avvenuto. La nuova traduzione del
messale in lingua castigliana (III Editio Typica) fu introdotta nel
2009-2010 (decreto del 13-15 agosto 2009) (cfr. M. Caponnetto, La traducción
de los textos litúrgicos: una experiencia personal, in Adelante de la Fe, 17.10.2018). Essa era stata affidata dalla Conferenza episcopale argentina, all’epoca presieduta
dall’allora card. Bergoglio, ad una commissione il cui esponente più noto era il discusso Christian Gramlich, ridotto poi allo
stato laicale.
Per
quanto si sa, la Congregazione per il Culto divino scrisse all’allora arcivescovo
di Buenos Aires, in qualità di presidente della Conferenza episcopale di quella
nazione, di non imporre la nuova traduzione, ma di lasciare a chi ritenesse
l’uso della precedente.
Un
ultimo aspetto non va trascurato: caratteristica fondamentale della liturgia è,
infatti, la sua memorabilità. Tale
indole dei libri liturgici ha favorito, nei secoli, la memorizzazione, da parte
dei fedeli, delle preghiere ivi contenute, consentendo agli stessi di
trasmetterle e tramandarle per generazioni, pure in frangenti e contesti di
oppressione durante i quali i persecutori procedevano spesso alla requisizione
e distruzione dei libri liturgici (si pensi, p. es., al primo editto di
persecuzione di Diocleziano del 303 d.C.). Se molte antiche preghiere ci sono
state perpetuate, lo dobbiamo proprio a questo fondamentale carattere dei testi
della liturgia.
Per
cui, è deleteria e deplorevole questa smania di cambiamento continuo, che
appare sempre più essere un omaggio all’ideologia del provvisorio, della
continua evoluzione, dell’usa e getta, ma anche, non lo si esclude, un modo per
giustificare la ragion d’essere della creazione di commissioni.
La
liturgia, quindi, non diventi e non sia un terreno di scontro ideologico, al
fine di imporre ai fedeli i propri punti di vista ed i convincimenti dominanti
in un certo momento storico!
Ci
sentiamo di rivolgere ai vescovi, quindi, l’invito a considerare tutto questo
al fine di non causare ulteriori tensioni e divisioni tra i fedeli.
Don Nicola Bux
Considerazioni ottime, soddisfacenti...
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