In
questo giorno l’Antifona maggiore che si canta, durante i Vespri, al Magnificat
ed al versetto alleluiatico del Vangelo è la IV: O Clavis David.
Proseguiamo
la lettura della Sacrosanctum Concilium,
pubblicando il commento al suo cap. V del prof. Giovanni Schinaia. Il commento
al cap. IV sarà pubblicato appena disponibile.
Commento
al capitolo V della Costituzione Sacrosanctum
Concilium
del
prof. Giovanni Schinaia
Il
capitolo V della SC è dedicato all’Anno Liturgico. È composto in tutto da 11
articoli, divisi in due parti: la prima parte, costituita da 4 articoli
(102-105) è introduttiva e spiega il senso dell’Anno Liturgico. La seconda
parte, costituita da 6 articoli (106-111) contiene invece le disposizioni.
Per
quanto riguarda la definizione del senso dell’Anno Liturgico, naturalmente,
tutto verte sulla celebrazione del mistero di Cristo, della celebrazione
pasquale una volta a settimana, la domenica, e con la grande solennità della
Pasqua – unitamente alla sua beata passione -. Dopo aver affermato la
centralità della Pasqua si dice poi che tutto il mistero di Cristo,
dall’Incarnazione fino all’attesa del suo ritorno è come distribuito nel corso
dell’anno (102).
Al
secondo posto c’è poi il ricordo della particolare venerazione per la Madonna
Santissima (103).
Dopo
la Madonna c’è il ricordo della memoria dei Santi, a partire dai martiri. (104)
mi permetto a latere di notare un problema di traduzione dell’aggettivo
sostantivato nataliciis). Leggiamo
nel testo originale: In Sanctorum enim
nataliciis. Il testo italiano presenta la traduzione letterale: «Nel giorno
natalizio dei santi». È traduzione corretta ma fuorviante. Il dies natalis, è il giorno della morte
corporale e non della nascita.
Da
notare che anche per quanto riguarda i santi la Costituzione si preoccupa di
chiarire il senso dell’autentica devozione che deve essere quello di proclamare
«il mistero pasquale realizzato in essi».
Dopo
la Madonna e dopo i Santi, viene inserito un accenno al completamento della
formazione dei fedeli (105). È interessante notare come le pie pratiche,
spirituali e corporali, insieme all’istruzione, alla preghiera e alle opere di
penitenza e misericordia, vengano messe in una sorta di macro-categoria che è
quella della formazione dei fedeli:
«La Chiesa, infine, nei vari tempi dell'anno,
secondo una disciplina tradizionale, completa la formazione dei fedeli per
mezzo di pie pratiche spirituali e corporali, per mezzo dell'istruzione, della
preghiera, delle opere di penitenza e di misericordia» (n. 105).
La
prima parte quindi non solo è chiaramente quadripartita, quanto sono appunto
gli articoli dal 102 al 105. Ma le parti sono disposte in modo chiaramente
gerarchico: il mistero di Cristo, con la Pasqua al centro; poi la venerazione
per la Madonna, quindi per i Santi, infine il completamento della formazione
dei fedeli nel corso dell’anno.
Venendo
alla seconda parte del capitolo, le disposizioni che seguono sono contenute
come si è detto in 6 articoli (dal 106 al 111), ma anche questa parte è
quadripartita, come chiaramente indicato dai titoli: valorizzazione della
domenica, riforma dell’anno liturgico, quaresima, le feste dei santi
Anzitutto
la valorizzazione della domenica (106). Mi permetto anche qui di notare un
problema di traduzione:
«Secondo la tradizione apostolica, che ha
origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il
mistero pasquale ogni otto giorni [octava
quaque die celebrat], in quello che
si chiama giustamente “il giorno del Signore” o “domenica”. In questo giorno
infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e
partecipare alla eucaristia e così far memoria della passione, della
risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio, che li “ha
rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai
morti” (1 Pt 1,3) [Hac enim die
christifideles in unum convenire debent ut, verbum Dei audientes et
Eucharistiam participantes, memores sint Passionis, Resurrectionis et gloriae
Domini Iesu, et gratias agant Deo]».
L’espressione
“octava quaque die“ è un complemento
di tempo determinato, per il quale in latino si usa il numero ordinale
aumentato di una unita. La traduzione sarebbe: ogni sette giorni. E non “ogni otto giorni” come invece troviamo
nel testo ufficiale italiano.
C’è
poi da notare il “convenire debent”.
Anche tralasciando la discutibile scelta di utilizzare il debeo con l’infinito in luogo di una più elegante costruzione col
gerundivo, mi pare significativo notare l’idea di “necessità” di questo
convegno domenicale per la Santa Messa. La domenica è obbligatorio andare a
messa. Non posso non ricordare a questo proposito la prima uscita pubblica
fuori Roma del grande Benedetto XVI il quale va molto al di là del banale
obbligo:
«La Domenica, Giorno del Signore, è
l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita.
Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle
nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi
del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle
in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può
trovare l’energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni
settimana» (Benedetto XVI, Omelia per
la Messa di Conclusione del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, Bari, 29.5.2005).
Sempre
sull’articolo 106 vorrei notare la discrepanza fra il testo latino e quello
italiano. In latino abbiamo due participi congiunti seguiti da due finali; in
italiano il tutto viene reso con 4 finali coordinate, stabilendo così – a mio
parere – una confusione fra ciò che il testo latino pone come mezzi e ciò che invece
pone come fini. La chiusa infine dell’articolo 106, ribadisce l’importanza
della domenica a cui non deve essere anteposta alcun’altra solennità se non di
grandissima importanza:
«Per questo la domenica è la festa
primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo
che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga
anteposta alcun'altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché
la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico» (SC n.
106).
Venendo
all’articolo successivo, il 107, troviamo un verbo dovremmo conoscere molto
molto bene:
«L'anno liturgico sia riveduto [Annus liturgicus ita recognoscatur] in modo che, conservati o restaurati gli usi
e gli ordinamenti tradizionali dei tempi sacri secondo le condizioni di oggi,
venga mantenuto il loro carattere originale per alimentare debitamente la pietà
dei fedeli nella celebrazione dei misteri della redenzione cristiana, ma
soprattutto nella celebrazione del mistero pasquale» (SC n. 107).
Si
tratta del verbo recognosco, che
troviamo al famoso articolo 25 quando si parla della revisione dei libri
liturgici: Libri liturgici quam primum
recognoscantur. ….. Anche qui la traduzione proposta è «riveduti».
L’articolo
raccomanda quindi che sia alimentata la pietà dei fedeli soprattutto nella
celebrazione del mistero pasquale (quindi domenica e solennità di Pasqua); il
ragionamento è completato all’articolo successivo:
«L'animo dei fedeli sia indirizzato prima di
tutto verso le feste del Signore, nelle quali durante il corso dell'anno si
celebrano i misteri della salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo
giusto posto sopra le feste dei santi, in modo che sia convenientemente
celebrato l'intero ciclo dei misteri della salvezza» (SC n. 108).
La
terza parte è quella dedicata alla Quaresima, anch’esse divisa in due articoli
il 109 e il 110.
Ecco
il 109: «Il duplice carattere della
quaresima--il quale, soprattutto mediante il ricordo o la preparazione al
battesimo e mediante la penitenza, invita i fedeli all'ascolto più frequente
della parola di Dio e alla preghiera e li dispone così a celebrare il mistero
pasquale--, sia posto in maggior evidenza tanto nella liturgia quanto nella
catechesi liturgica».
Perciò:
a)
si utilizzino più abbondantemente gli elementi battesimali propri della
liturgia quaresimale e, se opportuno, se ne riprendano anche altri dall'antica
tradizione;
b)
lo stesso si dica degli elementi penitenziali. Quanto alla catechesi poi, si
inculchi nell'animo dei fedeli, insieme con le conseguenze sociali del peccato,
quell'aspetto particolare della penitenza che detesta il peccato come offesa di
Dio. Né si dimentichi il ruolo della Chiesa nell'azione penitenziale e si
solleciti la preghiera per i peccatori.
L’articolo
110 è – a mio parere – il più interessante per quanto riguarda le applicazioni
pratiche relative alla religiosità popolare:
«La penitenza quaresimale non sia soltanto
interna e individuale, ma anche esterna e sociale. E la pratica penitenziale
sia incoraggiata e raccomandata dalle autorità, di cui all'art. 22, secondo le
possibilità del nostro tempo e delle diverse regioni, nonché secondo le
condizioni dei fedeli. Sia però religiosamente conservato il digiuno pasquale,
da celebrarsi ovunque il venerdì della passione e morte del Signore, e da
protrarsi, se possibile, anche al sabato santo, in modo da giungere con cuore
elevato e liberato alla gioia della domenica di risurrezione».
Perché
il più interessante. Non ci nascondiamo. Sappiamo quante volte molti sacerdoti
siano soliti rispondere con un assenso un po’ infastidito, quando addirittura
non con un diniego, alle richieste di partecipare o assistere a tante pie
pratiche della nostra tradizione popolare. Si tratti di via crucis, di
processioni penitenziali, di liturgie stazionali. La tradizione dei nostri
padri ce ne ha tramandate tante soprattutto legate alle celebrazioni
quaresimali e della settimana santa. Si tratta quindi di pie pratiche
accomunate tutte da una certa caratterizzazione penitenziale. Ora, non è vero
che il Concilio ha spazzato via tutto quanto. È vero il contrario e ce lo dice
proprio, fra gli altri, l’articolo 110 quando parla di una penitenza
quaresimale che deve avere un carattere esterno e sociale. E tanto vale, per
estensione, per tutta la preghiera cosiddetta popolare. Dire che la penitenza
deve avere funzione sociale significa in altri termini sottolineare la sua
natura intrinsecamente evangelizzatrice. È una linea che dal concilio in poi è
sempre stata ribadita. Tanto per citare gli ultimi pronunciamenti, abbiamo il
Direttorio su pietà popolare e liturgia del 2002, abbiamo il documento di
Aparecida dei vescovi dell’America Meridionale, cui il Vescovo di Roma si
richiama spesso; abbiamo l’intervento dell’amato Benedetto XVI alla Sessione
inaugurale della V Conferenza generale dell’Episcopato Latino-americano e dei
Caraibi, 2007; abbiamo l’omelia di Bergoglio del 5.5.2013, incontro mondiale
delle Confraternite; e abbiamo in ultimo la Evangelii
Gaudium: «Nella pietà popolare,
poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente
evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere
l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a
rafforzarla (…). Le espressioni della
pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle,
sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel
momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione” (…). Per capire questa realtà c’è bisogno di
avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di
giudicare, ma di amare (…)».
Il
capitolo V è chiuso dall’articolo 111 dedicato alle feste dei santi:
«La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera
i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le
feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e
propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare. Perché le feste dei santi non
abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza, molte
di esse siano celebrate [relinquantur
celebranda] da ciascuna Chiesa
particolare, nazione o famiglia religiosa; siano invece estese a tutta la
Chiesa soltanto quelle che celebrano santi di importanza veramente universale».
Da notare la maggiore forza del testo latino: reliquantur celebranda, che è sì un congiuntivo esortativo come quello che troviamo nella traduzione italiana, ma è in latino accompagnato da un gerundivo.
Da notare la maggiore forza del testo latino: reliquantur celebranda, che è sì un congiuntivo esortativo come quello che troviamo nella traduzione italiana, ma è in latino accompagnato da un gerundivo.
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