Oggi, 17
dicembre, iniziano le Antifone Maggiori, dette anche Antifone “O”
dall’esclamazione di meraviglia con cui si aprono.
La prima inizia con “O Sapientia”.
La prima inizia con “O Sapientia”.
In
questi giorni delle Antifone e di Novena al Santo Natale, pubblicheremo ogni
giorno un contributo dei membri della Scuola
Ecclesia Mater dedicato ognuno all’esame di un capitolo della Costituzione
conciliare Sacrosanctum Concilium,
solennemente promulgata nel dicembre 1963.
Questi
interventi sono stati tenuti, in occasione degli incontri formativi, a Bari,
della Scuola nell’arco temporale dal
2014 al 2016.
Cominciamo
con il commento al Proemio da parte di don Nicola Bux.
COMMENTO AL PROEMIO DELLA COST. SACROSANCTUM CONCILIUM
di Nicola Bux
Nella versione
italiana del Proemio della Sacrosanctum Concilium (§§ 1-4), si notano
alcune alterazioni di carattere teologico e filologico. Innanzitutto, l’uso improprio
(presente in alcune versioni ufficiali, soprattutto quella presente sul sito del Vaticano - qui citata) del minuscolo: “Liturgia”,
tradotto “liturgia”; “Eucharistiae Sacrificio”, “sacrificio dell’eucaristia”
(SC n. 2).
Si concorda
sulla necessità “di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i
credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno
della Chiesa” (SC n. 1), ma si rimane perplessi quando si vuole mettere la
Liturgia, che ha «la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina
(SC n. 2), alla stregua di tutte “quelle istituzioni che sono soggette a
mutamenti [instutiones quae mutationibus obnoxiae sunt]» (SC n. 1).
Dobbiamo,
pertanto, comprendere l’esatto significato della frase: «Il sacro Concilio [...]
ritiene quindi di doversi occupare in modo speciale anche della riforma e della
promozione della liturgia [Sacrosanctum Concilium [...] suum esse arbitratur peculari
ratione etiam instaurandam atque fovendam Liturgiam curare]» (SC n. 1).
Che la Liturgia sia ognora da ‘promuovere’ (fovendam), incrementandola
presso «i fedeli [affinché] esprimano nella loro vita e manifestino agli altri
il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa» (SC n. 2), è fuori
di dubbio; non altresì quando si dice di essa che sia da ‘riformare’,
traducendo in tal modo il gerundio latino instaurandam. Quantunque si
parli nei testi magisteriali di «riforma liturgica del Concilio [liturgica
Concilii reformatio]»
(Istruzione Redemptionis Sacramentum, n.4; Enciclica Ecclesia de
Eucharistia, n. 10), il verbo ‘instaurare’
- in latino e in italiano - va inteso come restaurare (cfr. Devoto-Oli, Dizionario
della lingua italiana) e non già come trasformare. È quanto si legge
nel testo in francese: «A la restauration et au progrès de la liturgie». D’altro
canto, lo stesso verbo latino ‘reformare’ si traduce con ‘restaurare’
(cfr. Castiglioni-Mariotti, Vocabolario della lingua latina, ed.
Loescher, Torino 1966). ‘Instaurare’, allora, può significare: ‘ritornare
ai fondamenti’.
Bisogna,
infine, parlare di ‘sana Tradizione’, distinguendo tra Tradizione divina e
tradizione umana.
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