Nella festa
liturgica di S. Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli, Confessore e
Dottore della Chiesa, concludiamo la lettura della cost. Sacrosanctum
Concilium, pubblicando il commento al suo cap. IV del prof. Pierluigi
Perrone, che non era disponibile durante le Antifone Maggiori.
Commento al cap. IV della Sacrosanctum
Concilium
di Pierluigi Perrone
Dopo
essersi occupata della Messa, cuore della vita liturgica della Chiesa, e degli
altri Sacramenti, Sacrosanctum Concilium
affronta in un capitolo specifico l’Ufficio divino, presentandone nei primi
punti il significato teologico e liturgico e indicando in seguito le linee da
seguire nella revisione della liturgia delle ore che dal Concilio sarebbe
scaturita.
L’ufficio
divino è espressione della fedeltà della Sposa alla richiesta dello Sposo
divino di «pregare sempre senza stancarsi». Tra le varie attività e necessità,
la Chiesa si serve dell’ufficio divino come linguaggio di orante per le varie
ore del giorno che si dispiega in sette ore secondo i dettami della Scrittura.
In realtà questi momenti vogliono rappresentare, in forma simbolica, la lode
ininterrotta che, per la potenza dello Spirito Santo, sale verso Dio dalla
Chiesa diffusa in ogni parte della terra.
L’ufficio
divino, come ricorda il § 83, esprime, dopo la celebrazione eucaristica, la
partecipazione della Chiesa alla missione sacerdotale di Cristo: Egli introduce
tra gli uomini quella lode che risuona incessante tra i cori celesti per poi
associare a sé l’umanità nel canto di lode e nella preghiera di intercessione.
Gesù, in cielo e in terra, è la lode viva del Padre e «intercede sempre per noi»
con la Chiesa da cui non è mai diviso. La Lode è eterna, perché Gesù è
«Sacerdote in eterno».
L'intercessione
durerà finché ci sarà un'anima bisognosa di intercessione. Allo stesso modo
anche la Santa Messa è prima di tutto Sacrificio latreutico, e poi
impetratorio, perché la lode non avrà mai fine mentre l'intercessione cesserà.
L’ufficio
della lode è, al tempo stesso, segno visibile della fedeltà della Sposa al suo
Sposo divino, attuazione fedele e perseverante della sua Volontà, esplosione di
amore che si esprime compiutamente nel canto, come avviene nel Cantico dei
Cantici.
Alla
luce di questa rinnovata consapevolezza, il § 84 sottolinea la natura corale
dell’ufficio divino, auspicando che ai chierici, che ad esso sono tenuti, si
uniscano i fedeli nella «preghiera che Cristo unito al suo Corpo eleva al
Padre»: questa diviene, pertanto, una manifestazione visibile della
partecipazione di tutto il Popolo di Dio al Sacerdozio di Cristo poiché coloro
che compiono questa preghiera «stanno davanti al trono di Dio in nome della
Madre Chiesa» (§ 85).
Una
lode così speciale procura un beneficio immediato per coloro che la praticano:
come ricorda lo stesso numero, il divino ufficio è mezzo per la santificazione
del tempo attraverso le varie ore del giorno e mediante le preghiere che la
tradizione della Chiesa ha formulato con sapienza per ciascuna di esse. Il
tempo che scorre nei vari periodi dell’anno liturgico viene così ricompreso in
una rete d'amore che non gli consente di defluire inutilmente e lo orienta
verso il suo fine.
La
Costituzione conciliare dispone a questo punto degli orientamenti che
presentano come intento principale quello di rinnovare quel fervore
indispensabile affinché l’ufficio della lode conservi e incrementi la sua
fecondità spirituale. Il § 86, infatti, rappresenta un monito rivolto nello
specifico ai sacerdoti: le ragioni pastorali non possono mai giustificare
l’assopirsi di tale fervore, mentre va sempre seguito l’esempio degli apostoli
che istituirono i diaconi proprio per riservare a sé gli uffici della lode e
della predicazione. Tuttavia, facendo seguito a riforme già avviate dalla Sede
Apostolica, il Concilio dispone una revisione dell’ufficio che renda le singole
ore effettivamente corrispondenti ai momenti del giorno per i quali sono nate.
La Costituzione afferma comunque di voler tenere presenti i mutati ritmi di
vita di quanti attendono alle opere di apostolato (§ 88) e si propone comunque
un’opera di riduzione e semplificazione dell’ufficio. Con la soppressione
dell’Ora di Prima si ritorna così ai sette momenti di preghiera di derivazione
biblica (Sal 118, 164) che vengono distribuiti in maniera omogenea in tutto il
corso della giornata per scandirne i vari passaggi: le due Ore cardine
dell’Ufficio quotidiano diventano le Lodi e i Vespri, mentre l’antico Mattutino
conserva il suo carattere di preghiera notturna quando è recitato in coro, ma,
nella prassi individuale, può essere recitato in qualsiasi ora del giorno; allo
stesso modo, la preghiera corale delle Ore minori di Terza, Sesta e Nona, che
santifica il lavoro del giorno, mostra la grande considerazione che la Chiesa
riserva al coro, al di fuori del quale, tuttavia, viene concesso di recitare
una sola di queste tre Ore in base alle esigenze del momento della giornata che
ad essa viene dedicato. Affinché le diverse Ore dell’Ufficio santifichino
realmente i vari momenti della giornata, il Concilio ribadisce più volte la
necessità che corrispondano all’orario proprio di ciascuna Ora canonica (§ 94).
È inoltre fondamentale per tutti coloro che partecipano alla recita dell’Ufficio
divino che «la mente corrisponda alla voce» (§ 90): a questo scopo viene
auspicata una più efficace istruzione liturgica e biblica e un’opera di
riordino del Salterio che distribuisca i Salmi non più in una settimana, ma in
uno spazio di tempo più lungo che consenta di assaporarli meglio, preservando
comunque il patrimonio del canto sacro della tradizione latina ad essi legato (§
91). L’opera di revisione dovrà coinvolgere anche il ricco patrimonio degli
inni e delle letture delle Scritture e dei Padri: il Concilio indica quale
criterio che dovrà orientare questo processo quello della più ampia offerta di
brani della parola divina, che arricchiscano i fedeli dei loro tesori, e di un
equilibrato sfrondamento di quanto, soprattutto negli inni e nelle passiones, risulti profano e privo di
fondamento storico.
La
celebrazione corale dell’Ufficio divino, alla quale sono obbligati i Regolari e
i canonici, viene calorosamente raccomandata da Sacrosanctum Concilium anche agli altri chierici e deve pertanto
mostrare anche esteriormente, mediante l’adeguata compostezza e la cura del
canto, lo slancio d’amore di un cuore devoto e raccolto (§ 99): rappresenta
infatti una tra le espressioni più perfette del Corpo Mistico che loda
pubblicamente Dio e, proprio in virtù di questo valore, se ne raccomanda la
recita anche ai fedeli laici e la celebrazione in chiesa nelle feste più
solenni. Infine, l’apertura del Concilio a una recita dell’Ufficio nelle lingue
volgari, pur conservando la prioritaria considerazione della lingua latina e
limitando ciò ai casi e alle versioni approvate, vuole rappresentare l’estremo
tentativo di garantire la fecondità di questa preghiera, anche a costo della
rinuncia all’afflato universale che solo la lingua latina era in grado di preservare.
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