Pubblichiamo volentieri, rilanciandolo,
questo contributo su un curioso costume liturgico-popolare dell’odierna
Domenica.
La "processione dell'asino": l'antico costume liturgico-popolare della Domenica delle Palme a Gerusalemme e a Mosca
di Nicolò Ghigi
Introduzione
Giotto, Ingresso in Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305, Padova |
Nella Sacra
Scrittura, l'asino viene menzionato oltre centocinquanta volte [1]. Dagli asini
di Abramo (Genesi XII, 16) all'asino di Balaam (Numeri XXII, 21-33), che
riconosce la presenza dell'Angelo di Dio ben prima del suo stolto padrone,
l'onagro ricopre un ruolo molto importante nella narrazione biblica, tanto da
essere l'animale più presente dopo (ovviamente) l'agnello e la pecora; non deve
stupire nemmeno che la propaganda anticristiana dei primi secoli accusasse i
Cristiani di venerare un dio-asino [2], dacché comunque esso doveva esser
ricompreso tra gli animali simbolici legati al testo scritturale. Due volte nei
Vangeli un asino porta Nostro Signore: durante la fuga in Egitto e la domenica
delle Palme. A voler sconfinare nella tradizione popolare, vi sarebbe anche
l'asino che insieme al bue riscaldò il Salvatore nella notte della sua
Natività, ancorché questa sia una credenza diffusa in Occidente, tanto da
entrare nel popolare Presepe, ma non supportata da alcun Vangelo né canonico né
apocrifo [3].
Sulle derive
superstiziose medievali dell'importanza tribuita all'onagro dal Cristianesimo,
molto si ebbe a scrivere. Alquanto noto è il costume, nato in Francia nell'XI
secolo, ma diffusosi successivamente anche a Firenze, di celebrare, nei giorni
successivi alla Circoncisione una festa in onore dell'asino che portò il
Signore nel suo viaggio in Egitto, detta appunto "festa dell'asino",
o anche "festa dei folli" per via di alcuni usi popolari di
sovvertimento dell'ordine costituito, che ricordano i Saturnalia romani
[4]. In occasione di quella festa, un asino, condotto in solenne processione
all’altare, veniva addestrato ad inginocchiarsi in momenti indicati e a
ragliare tre volte alla risposta rituale. «Alla fine della Messa – è scritto in
un codice manoscritto risalente all’XI secolo – il prete, anziché
pronunciare Ite missa est, raglierà tre volte, e in luogo di Deo
gratias il popolo risponderà tre volte hi-ha» [5]. Nella
Biblioteca del Re a Parigi è parimenti attestato un canto, attribuito a Pierre
de Corbeil (+1222), dedicato a questa specifica festività, Orientis
partibus.
Questa festa,
concentrato di superstizione popolare, tradizione pagana e cenni di
Cristianesimo, nonostante un’aperta condanna del Concilio di Basilea del 1431,
essa sopravvisse fino al secolo XVI. Poi, durante l’epoca della Riforma e della
Controriforma, a poco a poco scomparve. I cronisti raramente ne deplorano la
scomparsa. [6]
Col tempo, la
considerazione popolare per l'asino mutò sensibilmente. In realtà, la
concezione di questo animale era stata ambigua sin dall'antichità e per tutto
il Medioevo. Se da una parte l'asino, cavalcatura dei profeti, in molti
miracoli medievali ricalcati sul summenzionato episodio biblico di Balaam,
l’asino s'inginocchia dinanzi all’Ostia consacrata, d'altra parte, per il Physiologus e
molti altri bestiari, l'asino rappresenta il demonio; senza contare l'immagine
di animale ottuso, lussurioso e ostinato (donde anche l'espressione
contemporanea "essere un asino") tramandataci da Apuleio e da Fedro
[7], nonché l'importanza dell'asino rosso in alcuni culti misterici, come
apprendiamo dal De Iside et Osiride di Plutarco [8].
Tornando
tuttavia all'argomento precipuo del nostro intervento, resta da considerare la
tradizione, molto meno inficiata dalla superstizione popolare (se non in
qualche pia leggenda che attribuiva al ruolo giocato dall'animale nell'episodio
evangelico la spiegazione della criniera cruciforme dell'asino), forse proprio
per il rispetto nei confronti dei Divini Misteri della Passione e Risurrezione
del Redentore, della Domenica delle Palme. Come Nostro Signore, nel suo
trionfale ingresso in Gerusalemme, s'era assiso su di un'asina, parimenti il
Vescovo, piuttosto che un altro dignitario, in questa processione "faceva
la parte di Cristo", sedendosi su un onagro e così incedendo nella solenne
processione. I riti della Settimana Santa, ancor oggi, mantenendo un venerabile
carattere d'antichità, tendono infatti a mischiare, o meglio a contaminare
(come direbbero i commediografi latini), gli atti propriamente liturgici con le
Sacre Rappresentazioni, muovendo così a spirituali affetti i fedeli nel vedere,
coi loro propri occhi e non solo per speculum et in aenigmate, ripetersi
gli eventi della Passione. Alla stessa funzione si possono ricondurre altri
atti liturgici della Grande Settimana, come anche lo stesso canto della Passio [9].
Quantunque molte
siano le attestazioni di "processioni dell'asino" nella tradizione
medievale di tutta la Cristianità, nel presente studio ci si concentrerà unicamente
su due usi locali, ovvero quello gerosolimitano e quello moscovita.
La
"processione dell'asino" nella tradizione gerosolimitana
Et iam cum
coeperit esse hora undecima, legitur ille locus de euangelio, ubi infantes cum
ramis uel palmis occurrerunt Domino dicentes: Benedictus, qui uenit in nomine
Domini. Et statim leuat se episcopus et omnis populus, porro inde de summo monte
Oliueti totum pedibus itur. Nam totus populus ante ipsum cum ymnis uel
antiphonis respondentes semper: Benedictus, qui uenit in nomine Domini. Et
quotquot sunt infantes in hisdem locis, usque etiam qui pedibus ambulare non
possunt, quia teneri sunt, in collo illos parentes sui tenent, omnes ramos
tenentes alii palmarum, alii oliuarum; et sic deducetur episcopus in eo typo,
quo tunc Dominus deductus est. Et de summo monte usque ad ciuitatem et
inde ad Anastase per totam ciuitatem totum pedibus omnes, sed et si quae
matrone sunt aut si qui domini, sic deducunt episcopum respondentes et sic
lente et lente, ne lassetur populus, porro iam sera peruenitur ad Anastase. Ubi
cum uentum fuerit, quamlibet sero sit, tamen fit lucernare, fit denuo oratio ad
Crucem et dimittitur populus. [10]
E quando si fa
l’ora undicesima, si legge quel passo evangelico in cui gli infanti andarono
incontro al Signore con rami d’ulivo e di palma dicendo: Benedetto colui che
viene nel nome de Signore! E subito si alzano il vescovo e tutto il popolo, poi
dalla cima del monte degli Ulivi si avvia una processione. Così tutto il popolo
procede davanti a lui tra inni e antifone acclamando sempre: Benedetto colui
che viene nel nome del Signore! E tutti gli infanti che vi sono lì, anche
quelli che non possono camminare perché troppo piccoli e sono portati in spalla
dai propri genitori, tengono in mano dei rami, alcuni d’ulivo e altri di palma;
e così si accompagna il vescovo al modo stesso in cui fu accompagnato il
Signore. E dalla cima del monte sino in città, e poi tutti camminano attraverso
tutta la città fino al luogo della Risurrezione, e, sia che vi siano uomini o
donne, così accompagnano il vescovo rispondendo, e lentamente in tal modo,
perché non si stanchi il popolo, e fattasi ormai sera si giunge al luogo della
Risurrezione. Una volta ivi giunti, benché sia sera, tuttavia si celebra la
liturgia del lucernario [11], si fa di nuovo una orazione alla Croce, e si
congeda il popolo.
Con queste
parole Egeria, pellegrina che nel IV secolo visitò i luoghi santi, lasciandoci
nelle pagine del suo Itinerarium splendide descrizioni delle
consuetudini anche liturgiche della Terra Santa, descrive l'ufficiatura della
Domenica delle Palme. Non si menziona qui la Messa, semplicemente perché,
trattandosi di una domenica, era stata ovviamente celebrata al mattino e senza
risentire troppo nella struttura della vicinanza alla Passione del Signore. È
invece interessante quella nota in eo typo quo tunc Dominus deductus
est, che ci fa supporre che si cercasse di replicare esattamente la scena
vissuta dal Redentore al suo ingresso in Gerusalemme, e, attraverso
l'identificazione del Sommo Sacerdote con la Persona Christi, ai
commentatori appare chiaro, anche confrontando le altre fonti, che durante
questa processione vespertina il Vescovo della Città Santa procedesse a dorso
d'asino. Non doveva apparire cosa strana, essendo l'onagro mezzo comune di
locomozione in quelle terre; inoltre, tale costume sarebbe stato assai meno
passibile di travisamenti superstiziosi che in Occidente, in quanto la cultura
semita ha grande rispetto per tale animale, e non ravvisa alcun segno negativo
o idolatra in esso, come invece si è detto per la cultura tardoromana ed
ellenistica.
Tale costume a
Gerusalemme non scomparve praticamente mai: nonostante le moltissime
vicissitudini geopolitiche che colpirono la Città Santa durante gli ultimi
milleseicento anni, la processione a dorso d'asino trova testimonianza ancora
nell'Ottocento. Dom Prosper Guéranger [12], facendo una rassegna dei riti
particolari praticati durante la processione delle Palme, dopo aver parlato al
passato dell'uso anglonormanno di portare per la via la Santissima Eucaristia,
a rappresentare Nostro Signore, onorata coi rami benedetti, parla al presente
di un costume praticato dai padri della Custodia di Terra Santa, provincia
dell'Ordine Francescano che rappresenta ufficialmente la presenza della Chiesa
Romana nei luoghi della vita di Cristo. "A Gerusalemme, nella
Processione delle Palme, si pratica anche un'altra usanza, sempre allo scopo di
rinnovare la scena evangelica. L'intera comunità dei Francescani, che sta alla
custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a Betfage (la cittadina
vicino a Gerusalemme e al monte degli Olivi ove il Salvatore ordina ai
discepoli di procurargli la cavalcatura, giusta la narrazione del Vangelo di
Matteo, ndr), ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti pontificali,
monta un asinello adorno di vestiti e, accompagnato dai religiosi e dai
cattolici di Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l'ingresso nella
città e smonta alla porta della chiesa del Santo sepolcro, dove si celebra la
Messa con la maggiore solennità" [13].
La
"processione dell'asino" nella tradizione moscovita
Vyacheslav Schwarz, La processione sull'asino dello Zar Alessio, 1875 |
All'Europa non
fu ignoto, soprattutto in età altomedievale, il summenzionato costume
gerosolimitano. Era consuetudine, per esempio, degli Arcivescovi di Salisburgo,
nel primo anno del loro episcopato, compiere la "cavalcata delle
Palme" sino alla chiesa di Nonnenbergkirche, ancorché a un modesto
asinello presto sia stato sostituito in quest'usanza un nobile cavallo bianco.
Nonpertanto, almeno fino al 1785 in gran parte della regione alpina di lingua
tedesca, ma anche nei Paesi Bassi o in Belgio, era diffuso l'uso di portare in
processione, se non un asino reale, quantomeno un simulacro di legno intagliato
e dipinto che lo rappresentasse, trattato dai fedeli come vera e propria
reliquia; di tali statue ne restano oggi pochissimi esemplari, in quanto la
maggior parte andò distrutta durante la Riforma protestante o in età
illuminista.
Una delle
località in cui però tale rito sopravvisse più lungamente, è sicuramente Mosca,
la Terza Roma, sede del Patriarcato che assunse de facto un
ruolo primario nell'Ortodossia dopo la caduta di Costantinopoli-Nuova Roma
nelle mani dei Turchi. Praticata ininterrottamente dal 1558 al 1693, essa
assumeva la dimensione di un rituale religioso di corte, non differentemente
dalla Grande Santificazione delle Acque la Vigilia dell'Epifania [14], in
quanto lo Zar, procedendo umilmente a piedi, portava l'asinello su cui il
Patriarca sedeva figurando il Cristo, in tal modo dimostrando la sottomissione
del potere temporale a quello spirituale [15].
Templum S.
Trinitatis, etiam Hierusalem dicitur; ad quo Palmarum festo Patriarcha asino
insidens a Caesare introducitur, cioè "Tempio della Santa Trinità, anche detto Gerusalemme, al
quale, durante la festa delle Palme, il Patriarca, seduto su un asino, è
condotto dallo Zar". Con queste parole la Mappa di Mosca di Pietro,
del 1597, descrivendo la Cattedrale della SS. Trinità [16], ci informa di
questo suggestivo costume liturgico e popolare: la хождение на осляти, cioè
"processione sull'asino".
Pare che il
rituale venisse inizialmente praticato, a partire dalla prima metà del XVI
secolo, a Novgorod, dall'Arcivescovo locale, assistito dal namestnik,
cioè il vicario del Principe di Mosca. Il Metropolita Macario volle importarlo
a Mosca, e lo fece per la prima volta, assistito dallo Zar Ivan IV il
Terribile, nel 1558, quando la Cattedrale della SS. Trinità ancora era in fase
di costruzione (sarebbe stata consacrata solo tre anni dopo). Dopo il
completamento della stessa, secondo il Petreius, le processioni partivano
dalla Cattedrale della Dormizione, attraversando la Porta del Salvatore, e
terminavano nel santuario occidentale, dedicato all'Ingresso di Cristo in
Gerusalemme. Questo avveniva perché l'insieme delle cappelle formanti la
Cattedrale erano intese come le parti di un'unica chiesa: il santuario
occidentale rappresentava il nartece, la Porta del Salvatore le porte regali, e
così via... La stessa cattedrale era popolarmente conosciuta come Gerusalemme,
e del resto il clero e il popolo percepivano la cattedrale come nove separate
chiese costruite su un basamento comune, un'allegoria generalizzata della Città
Celeste, simile alle città di fantasia delle miniature medievali [17].
L'astratta allegoria era appunto rinforzata dal simbolismo dei rituali
religiosi, assumendo la cattedrale il ruolo biblico di Tempio di Gerusalemme.
Molti sono i
visitatori occidentali rimasti impressionati da questo rito, di cui ci resta
testimonianza nelle Cronache scritte prima del Periodo dei Torbidi [18],
fedelmente riportati dal Muir e dagli altri storici che si sono occupati di
usanze del genere.
Uno dei
nobiluomini dell'Imperatore [19] guida il cavallo dalla testa, ma l'Imperatore stesso,
procedendo a piedi, guida il cavallo dall'estremità della renna della briglia
con una delle mani, e con l'altra tiene un ramo di Palma: dopodiché segue il
resto della nobile corte dell'Imperatore e i gentiluomini, con un gran numero
di altre persone. (Richard Hakylut, The Principall
Navigations Voiages and Discoveries of the English Nation, 1589).
La capitale,
Mosca, è divisa in tre parti; la prima di esse, detta Kitai-gorod, è circondata
da un solido muro di cinta. Contiene una chiesa straordinariamente
meravigliosa, tutta ricoperta di gemme brillanti e colorate, detta Gerusalemme.
Essa è la meta dell'annuale processione della Domenica delle Palme, quando il
Gran Principe [19] di
Mosca deve guidare un asino che porta il Patriarca, dalla chiesa della Vergine
Maria alla chiesa di Gerusalemme, che sta vicino alle mura della cittadella.
Qui è dove vivono le più illustri famiglie principesche, nobiliari e
mercantili. Qui è pur la principale piazza del mercato moscovita: la piazza di
commercio è costruita come un rettangolo, con venti vicoli da ogni lato, dove i
mercanti hanno le loro botteghe... (Peter Petreius, History of
the Great Duchy of Moscow, 1620).
Stampa olandese del XVII secolo, La Processione dell'Asino |
Una modifica
dell'ordine summenzionato della processione si ebbe nel XVII secolo, sotto il
Patriarca Nikon, il quale avrebbe invertito l'ordine di tutte le processioni
(prescrivendole da occidente verso oriente, laddove i rituali del XVI secolo ci
tramandano la prassi di condurle da oriente verso occidente), compresa quella
delle Palme a Mosca; egli la fece cominciare dal Lobnoje Mesto, pietra posta
nell'attuale Piazza Rossa raffigurante allegoricamente il Golgota, e terminare
al Cremlino, che doveva essere la nuova allegoria di Gerusalemme. Proprio su
una processione dell'asino, peraltro, si consumò la reprimenda di Nikon,
ritiratosi de facto dal Patriarcato nel 1658, al Metropolita Piritim di
Krutitsy, che aveva osato condurre in sua vece la processione del 1659, con la
complicità "in spirito promiscuo" dello Zar Alessio I. Dalla lettera
di anatema firmata da Nikon apprendiamo che il Patriarca, attraverso
quest'atto, diventava "icona vivente di Cristo stesso", corona che
solo il Capo della Chiesa poteva portare [20]. La prima attestazione del nuovo
corso della processione ci è data dal geografo tedesco Adam Olearius, che vi
assistette nel 1636, e racconta, oltre al percorso mutato, di aver visto
precedere il corteo "un albero meraviglioso i cui rami erano adorni di
mele e altri vari frutti" e sei fanciulli che cantavano l'Osanna.
La tradizione
iniziò a declinare verso la fine del XVII secolo. Già nel 1678, secondo
l'Uspanski, il Santo Sinodo vietò che tale processione si praticasse al di
fuori della città di Mosca. In quegli anni regnava Fjodor III, ultimo
sopravvissuto dei figli di Alessio, il quale, debole e di salute cagionevole,
non aveva potuto partecipare alle processioni del 1676 e del 1677; di nuovo
egli riprese a parteciparvi, affianco al Patriarca Gioacchino, sino al 1681,
quando ancora la salute gl'impedì di prendere ancora parte al tradizionale atto
liturgico. Nel 1682, morto Fjodor, i figli Ivan e Pietro, coregnanti,
conducevano insieme l'asino in processione; ma l'anno successivo, ammalatosi Ivan,
fu il solo Pietro a condurlo. Nel 1694, in segno di lutto per la morte della
madre, occorsa il 25 gennaio dello stesso anno, egli non partecipò al rituale
di corte; l'abolizione formale sarebbe giunta di lì a poco, nel 1697, come atto
di dimostrazione della superiorità del potere statale e politico sulla Chiesa.
L'introduzione di un sovversivo costume quasi orgiastico, cui partecipavano i
funzionari imperiali, in sostituzione di quell'antichissimo e pio rituale che
aveva attraversato la Storia della Russia dai Rurikidi ai Romanov, fu uno dei
segni che accompagnarono tristi pagine della storia della Russia, preludenti la
forzosa occidentalizzazione del Paese a danno di molte antichissime tradizioni
locali, e soprattutto della Fede e della Chiesa Ortodossa [21].
_________________________________________
NOTE
[1] Cfr. Roberto
I. Zanini, Pecore, uccelli e asini: che zoo la Bibbia, in
"Avvenire", 22 agosto 2018
[2] Assai noto è
il graffito Paedagogius del Palatino, che raffigura
polemicamente un Cristiano che adora un uomo dalla testa d'asino posto su una
croce, con in appendice la scritta ΑΛΕΞΑΜΕΝΟC CΕΒΕΤΕ ΘΕΟΝ (Alessameno adora il
[suo] Dio). Della diffusione e della falsità di questa calunnia contro i
Cristiani parla ampiamente Tertulliano (Apologeticum, XVI), accusando
Tacito di averne introdotti i sospetti parlando degli usi dei Giudei nel V
libro delle sue Storie.
[3] Secondo
Marcello Craveri (cfr. note a M. Craveri, I Vangeli Apocrifi,
Einaudi, 1969), la tradizione deriverebbe da un'errata trascrizione nei
manoscritti di un versetto del Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, che
riprende un passo tratto dalla Profezia di Abacuc e afferma che il Messia
sarebbe nato "tra due età", divenute, nelle varie corruttele,
"due animali".
[4] Cfr. Jean-Baptiste Thiers (1636-1703), Traité de
superstision ...
Per una
trattazione sistematica delle fonti su questa festa, Cox Harvey, La
Festa dei folli, saggio teologico sulla festività e la fantasia, Bompiani
Ed., Milano 1971.
[5] M.
Schneider, La simbologia dell’asino, in «Conoscenza religiosa», 2
(1980), pp. 129-148.
[6] Cox
Harvey, La Festa dei folli..., op. cit.
[7] In Fedro (Fabulae,
I, 29) l'asino schernisce il cinghiale demisso pene, ovverosia
mostrando il suo smisurato fallo; il capolavoro di Apuleio invece, Metamorphoses,
conosciuto anche come L'Asino d'Oro, narra della trasmutazione in
asino del povero Lucio, e della peregrinazione ch'egli dee compiere per
riprendere l'aspetto umano, non tralasciando nel corso della suggestiva e
divertente narrazione un buon numero di cenni alla natura riottosa e lasciva
dell'animale.
[8] Per una
trattazione delle diverse e contrapposte visioni della figura dell'asino in età
medievale, vedasi F. Cardini, L’asino, in «Abstracta», 11
(1987), pp. 46-53.
[9] Il canto
della Passio, attestatoci dal rituale lateranense almeno dal XII
secolo, assunse i caratteri di un vero e proprio dramma sacro, in quanto le tre
parti principali dell'azione testuale, ossia quella del Cristo, del Cronista e
della Sinagoga, venivano eseguite da tre diaconi su un tono suggestivo ed
elaborato, proprio come durante una recita teatrale. Tale consuetudine si è
serbata intatta nel Messale Romano.
[10] Peregrinatio
Aetheriae, XXXI, 2-4
[11] La liturgia
lucernale faceva parte dell'antica ufficiatura del Vespero, caratterizzata
dall'accensione di una lucerna, con una valenza simbolica (la "luce di
Cristo che illumina tutti", come dice un tropario bizantino che si canta
nella Liturgia dei Presantificati), oltre che pratica. Resti di tale
ufficiatura sono presenti tanto nel Rito Ambrosiano (dove è rimasto, almeno
nominalmente, il Responsorium Lucernale verso l'inizio dell'ufficio vesperale),
quanto in quello Bizantino (il noto inno del Vespero Φῶς Ἰλαρὸν, che ci
parla della "luce vespertina", paragonata appunto alla luce della
santa gloria di Dio), e in minima parte nel Rito Romano (i cui resti si possono
notare nella cerimonia di accensione del cero il Sabato Santo).
[12] Dom Prosper
Guéranger (1805-1875), benedettino, fu Abate di Solesmes, protagonista della
restaurazione solesmiana del canto gregoriano, nonché prolifico autore di
liturgia, tra i fondatori del primo movimento liturgico, fiero avversario della
da lui stesso definita eresia antiliturgica.
[13] P.
Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima -
Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 676
[14] La Vigilia
dell'Epifania lo Zar assisteva solennemente al rito di benedizione delle acque,
non differentemente da quanto fa oggi il Presidente federale della Russia, il
quale partecipa pure al popolare costume di fare il bagno nell'acqua del fiume
benedetto, nonostante il gelo del gennaio russo. Per una descrizione del
mentovato rito di santificazione delle acque, vedasi a questo link: http://traditiomarciana.blogspot.com/2018/01/la-grande-santificazione-delle-acque.html
[15] cfr. Edward Muir, Ritual in early
modern Europe, Cambridge University Press, 2005, p. 253
[16] Dal
nome del santo le cui reliquie riposano in una delle nove cappelle, Basilio il
Benedetto, folle in Cristo (1468-1557).
[17] cfr. Dmitrij Švidkovskij, Russian
architecture and the West, Yale University Press, 2007
[18] Termine con
cui s'identifica in storiografia il ventennio di anarchia e guerra civile per
il controllo della Russia intercorrente tra la fine della dinastia Rurikide
(1598) e l'ascesa di Michele I Romanov (1613).
[19] Nel
menzionare lo Zar, i due autori usano dei titoli anacronistici o erronei:
l'Hakylut lo chiama Imperatore, forse per analogia col termine Caesar onde
deriva Zar, ma tale titolo sarà ufficialmente assunto dai sovrani russi solo
nel 1721; il Petreius invece lo chiama Gran Principe, titolo dismesso e
sostituito dal più solenne di Zar già nella seconda metà del XV secolo.
[20] cfr. Boris
Uspenski, Семиотика истории. Семиотика культуры [Semiotika Istorii. Semiotika
kul'tury], Gnozis, Moscow, 1994
[21] Tale
precisione d'informazioni circa il rituale negli ultimi anni del XVII secolo è
tratta da Paul Bushkovitch, Peter the Great: the struggle for power,
1671-1725, Cambridge University Press, 2001, pp. 112-181.
Fonte: Traditio marciana, 14.4.2019
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