In questo Venerdì
Santo, vogliamo rilanciare una scoperta, che risale allo scorso autunno:
l’anello di Ponzio Pilato. Forse, quello stesso anello con il quale il prefetto
di Giudea aveva “firmato” la condanna a morte di Gesù. Per la verità, l’anello
era stato scoperto, quasi un cinquantennio fa, nei pressi di Betlemme, all’Herodium. Tuttavia, solo l’anno scorso
ne è stata decifrata la scritta, identificando così il suo proprietario: Pilato,
appunto.
La
notizia ha avuto ampio risalto sulla stampa: Amanda Borschel-Dan, 2,000-year-old ‘Pilate’ ring just might have
belonged to notorious Jesus judge, in The
Time of Israel, Nov. 29,
2018;
World Israel News Staff, Pontius Pilate’s
ring discovered from site near Bethlehem, in WIN
News, Nov. 29, 2018; Palko Karasz, Pontius Pilate’s Name Is Found on
2,000-Year-Old Ring, in The
New York Times, Nov. 30,
2018;
Nick Squires, Bronze ring found in
ancient fortress near Bethlehem may have belonged to Pontius Pilate, in The
Telegraph, Nov. 30, 2018; Nir Hasson, Ring of Roman Governor Pontius Pilate Who
Crucified Jesus Found in Herodion Site in West Bank, in Haaretz, Dec. 2, 2018; Robert Cargill, Was Pontius Pilate’s Ring Discovered at
Herodium?, in Biblical
Archeology Society, Dec.
4, 2018;
Dorothy Cummings McLean, Archaeologists
uncover ring bearing seal of Roman governor who ordered Jesus’ death, in Lifesitenews, Dec. 13, 2018; G. W. Thielman, Archaeologists Discover Pontius Pilate
Reference On Ancient Ring, in The
Federalist, Dec. 26, 2018; Mezzo secolo dopo la scoperta decifrato il nome del prefetto romano,
in L’Osservatore Romano, 29.11.2018; Paolo
Rodari, Israele, ritrovato l’anello di
Ponzio Pilato, in La Repubblica, 30.11.2018; Andrea Tornielli,
Pilato, a 57 anni dalla scoperta della
lapide ritrovato un anello col suo nome, in La
Stampa, 1.12.2018; Franca Giansoldati, L’anello di Ponzio Pilato trovato a
Betlemme: il nome decifrato grazie a una tecnica fotografica, in Il
Messaggero, 1.12.2018; Christophe Lafontaine, L’enigma di un antico anello: appartenne a
Pilato?, in Terra Santa.net, 1.12.2018; Scoperto l’anello di Ponzio Pilato, un’altra
prova della storicità del prefetto dei Vangeli, in Chiesa e postconcilio, 4.12.2018.
L’odierna
ricorrenza, dunque, ci sembra quantomeno opportuna per rilanciare questo
contributo.
Antonio Ciseri, Ecce homo, 1880 circa, Museo Cantonale d'Arte, Lugano |
L’anello di Pilato, l’uomo che
crocefisse il Re dei Giudei
La scritta impressa su un anello di bronzo con
sigillo, rinvenuto circa 50 anni fa durante degli scavi archeologici presso il
sito dell’Herodion, a pochi chilometri da Betlemme, è stata recentemente
decifrata dagli studiosi, che vi hanno identificato un nome significativo:
Pilato.
La scritta impressa su un anello di bronzo con
sigillo, rinvenuto circa 50 anni fa durante degli scavi archeologici presso il
sito dell’Herodion, a pochi chilometri da Betlemme, è stata recentemente
decifrata dagli studiosi, che vi hanno identificato un nome significativo:
Pilato. L’anello era stato ritrovato, insieme a migliaia di altri reperti
risalenti al I secolo, grazie agli scavi guidati nel 1968-69 dal professor
Gideon Foerster dell’Università Ebraica di Gerusalemme, eseguiti in vista dell’apertura
dell’Herodion ai visitatori. L’Herodion è la collina su cui Erode il Grande
fece costruire un palazzo-fortezza sul finire del I secolo a.C. che venne poi
distrutto dai Romani intorno al 71 d.C., a seguito della prima guerra giudaica.
L’attuale squadra che lavora presso il sito
archeologico, guidata da Roi Porath, anch’egli dell’Università Ebraica, è
riuscita a discernere, dopo aver accuratamente pulito l’anello
e grazie all’uso di una speciale fotocamera messa a disposizione dai laboratori
dell’Autorità israeliana per le Antichità, il nome in greco impresso sull’anello
e formato dalle lettere «ΠΙΛΑΤΟ», equivalenti appunto a «Pilato». I dettagli
della ricerca sono stati pubblicati in un articolo sull’Israel Exploration
Journal (vol. 68/2). La scritta circonda l’immagine
di quel che sembra un recipiente per il vino. Dopo la decifrazione del nome i
ricercatori lo hanno collegato al Ponzio Pilato di cui parlano tutti e quattro
i Vangeli, dove è menzionato come il governatore della Giudea che acconsentì,
pur riluttante, alla crocifissione di Gesù. Un nome che noi cristiani ripetiamo
ogni volta che pronunciamo il Credo, ricordando che Nostro Signore patì «sotto
Ponzio Pilato».
Oltre che dai quattro evangelisti, Pilato è
menzionato negli scritti di altri autori a lui contemporanei,
cioè lo storico d’origine ebraica Flavio Giuseppe (ca 37-100) e l’erudito
Filone d’Alessandria (ca 20 a.C.-45 d.C.), nonché in un brano di Tacito (ca
55-120) risalente al 116 circa. La storia ce lo indica come il quinto
governatore della Giudea romana, che resse tra il 26 e il 36. Non si conoscono
altri personaggi dell’epoca aventi il suo stesso nome, che come ha spiegato il
professor Danny Schwartz era più che una rarità in Israele: «Non conosco nessun
altro Pilato del periodo e l’anello mostra che era una persona di levatura e
ricchezza», ha detto Schwartz, citato dal quotidiano israeliano Haaretz.
Per gli studiosi, inoltre, un anello di questo tipo
rivela lo status dei membri della cavalleria romana del tempo,
cui lo stesso Pilato apparteneva. Il suo nome era stato ritrovato dal professor
Foerster negli anni Sessanta anche su una pietra dell’Herodion, che dopo la
morte di Erode continuò a servire come base dei funzionari romani ed è dunque
verosimile che anche Pilato se ne servì come una sorta di quartier generale.
Tornando all’anello con sigillo, i ricercatori ritengono che possa essere stato
usato da Pilato nel suo lavoro quotidiano e, dunque, potrebbe averlo avuto al
dito quando diede il suo via libera, preceduto dal gesto di lavarsi le mani,
alla crocifissione di Gesù. Poco prima, riferisce san Giovanni Evangelista, il
governatore romano aveva avuto il famoso dialogo con Gesù, che gli disse di
essere venuto nel mondo «per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità,
ascolta la mia voce». E Pilato aveva poi chiesto: «Che cos’è la verità?» (Quid est
veritas? Curiosamente, questa frase latina anagrammata
contiene già in sé la risposta…).
NON SOLO INRI.
PILATO E LA SCRITTA SULLA CROCE
Questa interessante ricerca contemporanea ci dà lo
spunto per ricordare un altro fatto che riguarda Pilato e Gesù, relativamente
poco noto, specie se considerato nella sua portata più ampia
e rivelatrice. È risaputo che sopra la santa Croce il politico romano aveva
fatto porre l’iscrizione - il cosiddetto titulus crucis -
recante il motivo della condanna di Cristo: Iesus Nazarenus [1] Rex
Iudaeorum(«Gesù nazareno, il re dei Giudei»), le cui iniziali ci
restituiscono la celebre sigla INRI. L’iscrizione, tuttavia, non era solo in
latino. San Giovanni Evangelista, autore del quarto e ultimo Vangelo, ci
informa infatti che la scritta era in ebraico, latino e greco. Un dettaglio
irrilevante? Non proprio. Per capire perché facciamo un passo indietro nella
Scrittura.
Nella teofania del roveto ardente, narrata nel
libro dell’Esodo, Dio si rivela a Mosè ordinandogli
di tornare in Egitto per liberare il suo popolo, Israele. Quando Mosè,
domandosi in che modo gli Israeliti avrebbero mai potuto dargli retta, chiede a
Dio di manifestargli il suo Nome, si sente rispondere: «Io Sono colui
che Sono!». E poi: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi
ha mandato a voi» (Es 3,14).
Il sacro tetragramma corrispondente al Nome divino, che molti ebrei non osano
pronunciare e rendono con il termine Adonai (Signore), è YHWH. Torniamo
al racconto evangelico. Nel pieno della sua attività pubblica, mentre rivela la
sua consostanzialità al Padre, Gesù fa una profezia a quei Giudei che stentano
a riconoscerlo: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora
conoscerete che Io Sono» (Gv 8,28), dove l’innalzamento indica
la sua crocifissione. Ma in che modo questa profezia si lega al titulus crucis?
Sempre Giovanni, nello stesso brano in cui ci
informa della scritta eseguita in tre lingue, riferisce che
«molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu
crocifisso era vicino alla città». Da lì i capi dei sacerdoti dei Giudei
protestarono con Pilato: «Non scrivere: Il re dei Giudei, ma: Costui ha detto:
Io sono il re dei Giudei». Certo, si può pensare che già da sola l’espressione re dei Giudei desse
fastidio a chi non aveva accettato Gesù Cristo, ma c’è molto di più: ricordiamo
che - quando Nostro Signore fu condotto davanti al sinedrio - il sommo
sacerdote si stracciò le vesti, accusandolo di bestemmia, solo dopo che Gesù
aveva confermato di essere il Figlio di Dio. Era questa infatti la vera
inconcepibile «colpa» di Gesù per i suoi carnefici, essere uomo ma «farsi» Dio.
In definitiva: sappiamo della scritta in latino, ma
com’era resa in ebraico? Lo scrittore
Henri Tisot (1937-2011) si è rivolto a diversi rabbini per sapere quale fosse l’esatta
trascrizione in ebraico di «Gesù nazareno, re dei Giudei» e ha scoperto che le
lettere corrispondenti dovevano essere «שוע
הנוצרי ומלך היהודים», le quali - traslitterate,
vocalizzate e tenendo presente la lettura da destra verso sinistra - ci danno
come risultato: Yeshua Hanotsri Wemelek
Hayehudim. Le iniziali non sono altro che il tetragramma
sacro: YHWH. Cioè il Nome di Dio rivelante l’Essere eterno e perfetto: Io-Sono.
La profezia di Gesù era compiuta.
I Giudei che protestarono con Pilato si videro
quindi improvvisamente davanti agli occhi - nel modo più impensabile - la
Verità incarnata, il Dio fatto uomo, che avevano rifiutato e messo
in croce. Ecco perché si rivela in tutto il suo significato l’iscrizione
composta da Pilato e con essa la replica del governatore, ancora riferita da
san Giovanni Evangelista, di fronte alla richiesta di quei Giudei: «Quel che ho
scritto ho scritto» (Gv 19,22). Come una sentenza, un sigillo che ci ricorda Chi
è quel Bambino che festeggiamo a Natale e venuto in mezzo a noi per offrirci la
salvezza.
[1] “Nazarinus”, secondo il frammento di
tavoletta custodito a Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme e che
corrisponderebbe alla forma corretta del latino nel I secolo.
Fonte:
LNBQ, 24.12.2018
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