Lo scritto di Marco, infine, ha un atteggiamento
particolare di fronte alla persona di Pietro. Mentre in qualche episodio che lo
riguarda ha talune notizie in più, come nella guarigione della suocera di lui
(1, 29-31), giammai in nessun tratto lo adula, anzi tralascia fatti per lui
onorifici narrati dagli altri Sinottici, quali di camminar sulle acque, il
didramma trovato in bocca al pesce, e perfino il conferimento del primato. La
ragione di questo atteggiamento, in conferma della tradizione, è che Pietro
nelle sue catechesi orali non amava insistere su episodi onorifici a lui
stesso, e il suo «interprete» ha fedelmente rispecchiato tale modestia nel suo
proprio scritto. Ma esiste forse in questo scritto anche qualche allusione alla
persona stessa di Marco? La tradizione antica s’accorda con Papia,
nell’asserire che Marco non fu discepolo di Gesù: un paio di affermazioni
contrarie (ad es. Epifanio, Haeres. , XX, 4) rimangono
solitarie e non autorevoli. Tuttavia questa tradizione non escluderebbe per se
stessa che Marco, ancor giovanetto, abbia visto qualche volta di sfuggita Gesù,
pur senza essere suo vero seguace: la circostanza già rilevata che la casa
della madre di Marco era luogo d’adunanza per i cristiani di Gerusalemme, e che
nell’anno 44 Pietro vi si rifugiò appena uscito di prigione, fa supporre
un’antica amicizia che poteva ben risalire a prima della morte di Gesù.
Assicurata questa possibilità, entra in relazione con essa un singolare
episodio della passione di Gesù, narrato dal solo Marco, episodio ben preciso
anche nel suo arcano riserbo. Gabriele d’Annunzio ha scritto: Non avete mai
pensato chi potesse mai essere quel giovine “amictus sindone su per nudo ”,
del quale parla il Vangelo di Marco? “E tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. E
un certo giovine lo seguitava, involto d’un panno lino sopra la carne ignuda, e
i fanti lo presero. Ma egli, lasciato il panno, se ne fuggì da loro, ignudo”.
Chi era quel tredicesimo apostolo, che aveva preso il luogo di Giuda nell’ora
dello spavento e della grande angoscia?… Era vestito d’un vestimento leggero.
Si fuggi ignudo. Nulla più si seppe di lui nel mondo (in Contemplazione
della morte , cap. XV aprile MCMXII). Quest’episodio (14, 51-52) è,
storicamente, un masso erratico: non ha alcuna colleganza con gli altri fatti
della passione, tanto che si potrebbe sopprimere senza alterare la narrazione
complessiva. Eppure il narratore è bene informato: sa che quel giovanetto,
risvegliato forse improvvisamente dal frastuono notturno, non ha fatto in tempo
a gettarsi addosso neppure un mantello, e con la sola sindone s’è messo a
seguire; infine, catturato, lascia la sindone in mano ai catturatori, e fugge
nudo. I discepoli di Gesù erano già fuggiti tutti, come ha detto il narratore
poco prima: anche Pietro, l’informatore principale di Marco, già era fuggito e
non era più sul posto. Chi era dunque quel giovanetto, unico testimone amico
fra tanti nemici? Perché Marco, che sa tutto di lui, non lo nomina, e
preferisce presentarlo con la faccia occultata da un arcano velo? Quel
giovanetto, forse, era Marco stesso, come pensano molti studiosi moderni. Nella
stessa guisa che Pietro nella sua catechesi nascondeva fatti a sé onorifici,
cosi anche Marco può aver velato qui la sua propria faccia, pur non volendo
omettere del tutto questo episodio che nel suo scritto poteva valere come
simbolico signaculum in sigillo.
[…] Spuntò il giovedì, che
era il primo giorno degli Azzimi quando immolavano la Pasqua (Marco, 14,12);
perciò in quel giorno si dovevano provvedere le cose necessarie alla
celebrazione del solenne rito anche da parte della comitiva di Gesù,giacché per
questo rito Gesù avrebbe dovuto rimanere quella notte a Gerusalemme e
rinunziare a ritirarsi a Bethania sul monte degli Olivi come le notti precedenti.
Gli dissero quindi i discepoli: Dove vuoi che andiamo a preparare affinché
(tu) mangi la Pasqua? Gesù allora inviò Pietro e Giovanni
(Luca, 22, 8) dicendo loro: Andate nella città e vi si farà incontro un
uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo, e dove egli sia entrato direte al
padron di casa: “Il maestro dice: Do v’e’ la mia stanza ove (io) mangi la
Pasqua insieme con i miei discepoli?”. Ed egli vi mostrerà una sala superiore
grande, provvista di tappeti, pronta; e ivi preparate per noi (Marco,
14, 13-15). Il segno dato ai due Apostoli era abbastanza singolare, perché
l’ufficio di attingere e trasportare l’acqua era riservato ordinariamente alle
donne. I due s’attennero al segno: entrando in città, certamente per la porta
situata sopra la piscina del Siloe e di fronte al monte degli Olivi,
incontrarono effettivamente l’uomo dalla brocca; avendo poi essi seguito costui
alla casa ov’era diretto, il padrone mise a loro disposizione la sala di cui
Gesù aveva parlato. Non c’è da dubitare che quel padrone fosse persona
affezionata a Gesù; probabilmente l’aveva ricevuto altre volte a casa sua. Chi
sarà stato questo ignoto discepolo? Più che al cauto Nicodemo o a Giuseppe di
Arimatea, il pensiero corre al padre o ad altro parente di Marco, la cui casa
dopo la morte di Gesù diventò luogo abituale d’adunanza per i cristiani di
Gerusalemme; se poi si potesse provare che quel misterioso giovanetto il quale
sfuggì nudo di mano alle guardie del Gethsemani era appunto Marco, si avrebbe
conferma che il padrone della casa era suo parente, tanto più che questo
racconto della preparazione della Pasqua è più minuto e circostanziato nel
vangelo di Marco che in quello di Matteo. Se il nome di questo discepolo fu
tenuto occulto dagli evangelisti è ben possibile che ciò avvenisse per una
ragione prudenziale, analoga a quella per cui i Sinottici omisero l’intero
racconto della resurrezione di Lazzaro. Così pure, per una elementare prudenza,
Gesù inviò a preparare la cena Pietro e Giovanni, ma non Giuda, l’amministratore
comune a cui sarebbe spettato quell’ufficio: il traditore era occupato nel
frattempo a ordire il suo tradimento, e questa sua tenebrosa cura non doveva
essere ancor più facilitata dalla prematura indicazione del luogo ove doveva
tenersi il supremo convegno. Del resto l’opinione secondo cui l’ultima cena
ebbe luogo nella casa di Marco non è nuova, ed ha pure in suo favore una
rispettabile tradizione. Verso il 530 l’arcidiacono Teodosio descrivendo la sua
visita a Gerusalemme, quando parla della chiesa della Santa Sion ritenuta
universalmente come il luogo dell’ultima cena. E questa affermazione doveva
fondarsi su un’antica tradizione; infatti nello stesso secolo VI, il monaco
cipriota Alessandro comunica che una tradizione già antica ai suoi tempi
affermava che la casa in cui ebbe luogo l’ultima cena fu appunto quella di
Maria madre di Marco, ove il maestro era solito albergare ogni volta che veniva
a Gerusalemme, e inoltre che l’uomo della brocca sarebbe stato appunto Marco. È
questo il luogo ove la tradizione, già dal secolo IV, ha collocato l’odierno
Cenacolo, all’estremità sud-occidentale della Città Alta.
[…] L’arrestato fu legato;
si cominciò a condurlo via. Gli Apostoli, a cui dapprima la sonnolenza e poi il
subitaneo sdegno non avevano permesso di rendersi ben conto della realtà dei
fatti, soltanto allora compresero il maestro era veramente arrestato, era
condotto via come un volgare delinquente. Allora forse, meglio che a tutte le
passate affermazioni di Gesù, essi cominciarono a intravedere quale fosse la
durissima prova, quali i patimenti supremi, attraverso cui il maestro aveva
predetto più volte di dover passare per giungere alla sua gloria. A tale
tristissima veduta, a tali mestissimi ricordi, quegli undici si sentirono
schiantati. Della futura lontana gloria del Messia essi non si ricordarono
affatto; badarono soltanto al tintinnio delle catene, al luccicore delle spade,
all’umiliazione del maestro: allora, totalmente smarriti, abbandonarono ogni
cosa dandosi alla fuga, tutti dal primo all’ultimo. E Gesù uscì dal Gethsemani
circondato dalla sola sbirraglia: non gli stava dappresso neppure un amico. O
meglio, un amico c’era ancora, sebbene non stesse molto dappresso. Qui infatti
avviene l’episodio del giovanetto con la sola sindone. Come già vedemmo, è
possibile che quel giovanetto fosse l’evangelista Marco. Se egli era figlio o
altro parente del proprietario del cenacolo, il quale forse era proprietario
anche del Gethsemani, si può supporre che terminata l’ultima cena egli per
simpatia avesse seguito la comitiva di Gesù al Gethsemani ed ivi si fosse
intrattenuto per qualche tempo con gli otto Apostoli ricoverati nella casipola
o grotta, e dopo un certo tempo anch’egli si fosse messo a dormire.
È importante il
particolare che egli fosse avvolto d’una sindone sul nudo: la sindone di lino
era infatti usata, stando in letto, soltanto da persone facoltose, mentre i
popolani, come gli Apostoli, dormivano ravvolti nelle stesse vesti del giorno;
probabilmente, dunque, quel giovanetto era abituato a passar talvolta la notte
nella casipola del Gethsemani, ove in un angoletto avrà avuto il suo giaciglio
e l’occorrente per dormire da persona agiata. Se queste ipotesi corrispondono
alla realtà, tutto diventa chiaro. il giovanetto, risvegliato improvvisamente
dal vociar delle guardie e dalle grida del ferito e degli Apostoli, si alza dal
giaciglio e balza fuori vestito come si trova: assiste all’ultima scena
dell’arresto di Gesù e alla fuga degli Apostoli; allora, sia per la sicurezza
d’un padrone che si ritrova sul terreno suo proprio, sia per la vivacità
giovanile accresciuta dall’affetto per l’arrestato, egli si mette a seguire le
guardie che s’allontanano; le guardie poco dopo s’accorgono di quel giovanetto
che sta pedinando in quello strano abbigliamento, e insospettite lo prendono.
Ma afferrano la sola sindone: perché l’agile ragazzo, sgusciando dal di sotto,
lascia la sindone in mano alle guardie e fugge via tutto nudo. E così Gesù fu
abbandonato anche da quest’ultimo amico: un adolescente privo di veste.
(Giuseppe Ricciotti Vita
di Gesù Cristo , 134, 535, 561)
Testo raccolto da Giuliano
Zoroddu
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