Nell’odierna festa della SS. Trinità
rilanciamo questo contributo di riflessione di Alessandro Gnocchi.
Oltre la linea
ci salva la Verità
Non so se vi sia più arroganza e compiacimento del potere sotto i
girocollo blu e le croci a Tau dei preti postcristiani o sotto le grisaglie e i
pantaloncini a tubo dei finanzieri postcapitalisti. Gli uni e gli altri
spietatamente postmisercordiosi, a seconda dell’ufficio proprio, nel negare la
comunione a chi si inginocchia davanti a divino sacramento oppure il mutuo a
chi crede ancora nell’avvenire dei figli. Gli uni e gli altri uniti dalla
medesima incomprensione per gli elementi minimi di umanità. Il potere comanda e
loro eseguono.
Per descrivere questi miserevoli funzionari del Nulla non c’è di
meglio che il passo di Arcipelago Gulag in
cui Aleksàndr Solženicyn descrive i giudici istruttori che mandavano al macello
i dissidenti sovietici: «Il loro mestiere non esige che
siano persone istruite, di cultura e vedute larghe, e tali non sono. Il loro
mestiere non esige che pensino logicamente, e non lo fanno. Il loro mestiere
esige unicamente una precisa esecuzione delle direttive e che siano insensibili
verso le sofferenze altrui: e questo sì, lo fanno. Noi che siamo passati
attraverso le loro mani li sentiamo, con un senso di soffocamento, come blocco
di esseri totalmente privo di concetti umani. (…) Capivano che le accuse erano
fasulle eppure lavoravano anno dopo anno. Come mai? O si costringevano a non
pensare (e questa è la distruzione dell’uomo) o, semplicemente, si dicevano:
così deve essere. Chi scrive le direttive non può sbagliare».
La banalità del male, alla quale si può opporre solo l’evidenza
del vero, l’unica arma che neanche il funzionario più solerte può sequestrare.
Alla lunga, il potere iniquo può solo essere eroso dalla resistenza condotta
nella verità. È ancora Arcipelago Gulag il
luogo in cui si mostra cosa accade quando un uomo oppresso dice a se
stesso: «Rimangono importanti e a me cari soltanto il mio spirito e la mia
coscienza». Allora, «davanti a un simile detenuto
vacillerà l’istruttoria. Vincerà solo chi avrà rinunziato a tutto. (…) al
momento del processo, sono riusciti a trasformare in marionette la cerchia di
Berdjaev, ma non lui medesimo. Lo volevano processare, fu arrestato due volte,
lo portarono a un interrogatorio notturno da Dzeržinskij, dove c’era anche
Kamenev. Ma Berdjaev non si umiliò, non si profuse in suppliche: espose con
fermezza i principi religiosi e morali in virtù dei quali non accettava il
potere che si era instaurato in Russia, e non solo fu riconosciuto inutile
processarlo, ma lo liberarono. L’uomo aveva un punto di vista proprio!
«N. Stoljarova ricorda una sua vicina nella prigione di Butyrki
nel 1937, una vecchina. La interrogavano ogni notte. Due anni prima un
metropolita fuggito dalla deportazione, di passaggio a Mosca, aveva pernottato
da lei. “Mica un ex metropolita, macché, uno vero! Sì, avete ragione, ho avuto
l’onore di ospitarlo”. “Bene e da chi andò poi, partendo da Mosca?”. “Lo so. Ma
non lo dirò”. (Il metropolita era fuggito in Finlandia con l’aiuto di una
catena di fedeli). I giudici istruttori si alternavano, si riunivano a gruppi,
minacciavano la vecchina coi pugni, e lei: “È inutile, non mi farete dire
nulla, anche se mi faceste a pezzi. Voi avete paura della autorità, avete paura
l’uno dell’altro, avete perfino paura di ammazzare me [avrebbero perduto la
“catena”]. Io invece non ho paura di nulla. Sono pronta a presentarmi davanti
al Signore anche subito!”».
In questo consiste il «Non abbiate paura». Con
il leviatano anticristico, in girocollo blu o in grisaglia, non è possibile
collaborare. Non si mediterà mai abbastanza sull’ammonimento di Hanna Arendt: «Abbiamo la responsabilità della nostra obbedienza».
Siamo chiamati a scegliere, ma questo non è solo un dovere di nostri giorni,
l’uomo lo deve fare sempre. Oggi è più urgente, più drammatico e più doloroso
poiché il terreno su cui ci si illude di trovare una mediazione onorevole si va
sgretolando ed esaurendo. Cosicché, paradossalmente, la scelta, mostrandosi
inevitabile, diventa più facile.
Ernst Jünger, nel Trattato del Ribelle,
definisce la decisione di opporsi radicalmente alla tirannia della modernità
con l’evocativa immagine del «passaggio al bosco».
L’immagine del bosco dà forma al concetto di libertà intimamente radicato
nell’essere e, dice Jünger, «è ben diverso dalla semplice
opposizione, e non si trova neppure mediante la fuga. (…) Qui sono a
disposizione mezzi diversi oltre al semplice “no” da scrivere in una in una
determinata casella. (…) Si può anche dire che nel bosco l’uomo dorme. Non
appena aprendo gli occhi riconosce il proprio potere, l’ordine è ristabilito.
(…) catturati nel gioco di potenti illusioni ottiche, siamo abituati a
considerare l’uomo, se confrontato con le sue macchine e con l’arsenale della
sua tecnica, un granello di sabbia. Ma queste illusioni sono e rimangono i
fondali di una immaginazione gregaria».
L’uomo non è un granello di sabbia, appartiene, meglio
apparteneva, a un “popolo”. Ma il “popolo” è un’entità che non va più di moda:
avvolto in malinconiche bandiere rosse è stato seppellito assieme alla suo
passato e al suo futuro, la sua Tradizione. Si sono inventati il popolo-di-Dio
e l’hanno presto trasformato in popolo-del-dio-Danaro, l’uno e l’altro odiato e
vessato dai kommissari postcristiani e postcapitalisti perché il “popolo”,
persino quello artificiale, mette a disagio il potere. Raramente si percepisce
tanto disprezzo nei suoi confronti come nelle liturgie che vanno in scena nelle
chiese postcristiane o nelle banche postcapitaliste. Non c’è nulla di buono in
quei templi e in quelle religioni, rispetto ai quali siamo chiamati a essere
profani. Lo dice ancora Jünger quando parla del «nichilismo
cristiano che si rende il compito un po’ troppo facile. Non posiamo limitarci a
immaginare il vero e il buono ai piani nobili, mentre in cantina stanno
scorticando vivi i nostri confratelli. Non sarebbe lecito neanche se ci
trovassimo, spiritualmente intendo, in una posizione non soltanto più sicura ma
addirittura superiore – poiché la sofferenza inaudita di milioni di schiavi
grida comunque vendetta al cospetto del cielo. Le esalazioni che emanano dagli
scorticatoi continuano ad appestarci. Non sono situazioni che si possono
aggirare con qualche mezzuccio».
Ma il “bosco”, se vogliamo mantenere questo nome per il luogo in
cui esercitare fino al fondo la grazia della fede e la virtù del vivere civile,
non è fatto per ospitare i grandi agglomerati. Non può ospitare movimenti,
partiti e manifestazioni di massa, piccoli o grandi che siano, neanche quando
sono frutto di buone intenzioni. Un amico mi ha rammentato alcuni passi una
splendida opera di Simone Weil che si intitola Manifesto
per la soppressione dei partiti politici. Sono tragicamente
inoppugnabili: «Quando in un Paese esistono i partiti, ne
risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile
intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un
partito e stare al gioco. (…) I partiti sono un meraviglioso meccanismo in
virtù del quale, in tutta l’estensione di un Paese, non uno spirito dedica la
sua attenzione allo sforzo di discernere, negli affari pubblici, il bene, la
giustizia, la verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di
coincidenze fortuite – vengono decise ed intraprese soltanto misure contrarie
al bene pubblico, alla giustizia e alla verità. Se si affidasse al diavolo
l’organizzazione della vita pubblica, non si saprebbe immaginare nulla di più
ingegnoso».
E poi ancora: «È desiderando la verità a
mente sgombra e senza tentare di indovinarne in anticipo il contenuto che si
riceve la luce. A questo si riduce l’intero meccanismo dell’attenzione. È impossibile
esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica prestando
attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la giustizia e
il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si conviene a un
membro di un certo raggruppamento. La facoltà d’attenzione umana non è capace
di rispondere simultaneamente a queste due preoccupazioni. In effetti, chiunque
si dedichi a una di esse, abbandona l’altra. Ma nessuna sofferenza attende chi
si abbandona alla giustizia e alla verità, mentre il sistema dei partiti
comporta le penalità più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi
tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura
la vita di famiglia. Il partito comunista ha portato questo sistema alla
perfezione».
Ma Simone Weil non fece in tempo a vedere la chiesa postcristiana
e la finanza postcapitalista, che hanno saputo fare di più e meglio rispetto
all’orrore comunista. Quello si spingeva sino alla distruzione dei corpi, ma
poteva lasciare intatte le anime. Qui e ora, invece, è in gioco molto più che
la salvezza terrena, poiché si decide di quella eterna.
Come ieri non era possibile salvare l’integrità del proprio corpo
e del proprio pensiero entrando anche con riserva mentale nel meccanismo
comunista, così oggi non è possibile salvare l’integrità della propria fede e
della propria anima esercitando tale riserva per entrare nella pancia del
leviatano postmoderno. Tutti coloro che ci hanno provato, pensando di “fare
almeno un po’ di bene”, si sono persi. Quando ci si costringe all’ossequio per
l’autorità iniqua nell’illusione di rivolgersi solo alla piccola porzione di
buono che nonostante tutto permane, si compie un gesto naturale che perverte
quello spirituale creando abitudine al male.
Nella sua parte del saggio Oltre la linea,
firmato con Heidegger, Jünger descrive nel 1949 la capacità di contagio del
Nulla in pagine che paiono il ritratto della chiesa e del mondo di oggi: «Il nichilismo può effettivamente armonizzarsi con sistemi d’ordine
di estese dimensioni, e (…) per diventare attivo su larga scala, deve
addirittura ricorrere a essi. Il caos diventa visibile solo nel momento in cui
il nichilismo comincia a venire meno in una delle sue combinazioni. È
istruttivo vedere che perfino nelle catastrofi le componenti d’ordine sono
presenti, addirittura sino alla fine o quasi. È chiaro perciò che l’ordine non
solo è ben accetto al nichilismo, ma fa parte del suo stile. (…) Perfino nei
luoghi nei quali il nichilismo mostra i suoi tratti più inquietanti, come nei
grandi luoghi di sterminio fisico, regnano sovrani la sobrietà, l’igiene,
l’ordine rigoroso».
Un’analisi inquietante che mostra come, nella sua componente
umana, la Mater et Magistra possa insegnare istituzionalmente e magistralmente
ai suoi figli le vie della perdizione. E spiega anche perché, nella corsa verso
il Nulla, con la sua formalistica difesa dell’ordine, sia in grado di sedurre i
cristiani dediti alla conservazione intesa come metodo, sganciata dal
contenuto. Per il fariseo, non vi è niente di più irresistibile di una forma
riempita di nulla.
Si potrà anche gridare all’ossimoro, ma, ai tempi della svolta
linguistica nichilista, questa è triste realtà. E così «Nascono religioni sostitutive in numero incalcolabile. Si può anzi
dire che con lo spodestamento dei valori supremi qualsiasi cosa può acquisire
un’illuminazione e un significato liturgici. Non solo le scienze della natura
assumono questo ruolo; prosperano le visioni del mondo e le sette; è un’epoca
di apostoli senza missione. (…) Ciò genera l’impressione di un eremo
disseminato di mulini deputati alla preghiera e che ruota sotto il cielo
stellato. Ininterrottamente, diventa più importante la quantificabilità di
tutti i rapporti. Si continua a consacrare, benché non si creda più
nell’eucarestia. Allora, per renderla più comprensibile, la si interpreta
diversamente».
Rimane la preghiera, e non è poco. È tutto. Hugo Ball, in Cristianesimo bizantino, nella capitolo dedicato a San
Giovanni Climaco scrive: «La preghiera è aristocrazia
della povertà. In essa si tocca tutto ciò che è esclusivo nel cielo e nella
terra. Solo colui che qui è emarginato è là benvenuto e solo colui che qui è
imprigionato là si libera. Nessun intelletto penetra con uno scopo o un
tornaconto in questo luogo santo. La meditazione può infiammare, ma solo la
preghiera illumina. Essere assorti nel proprio cuore è già molto. Ma cosa ben
diversa è “che lo spirito visiti il cuore come un principe vescovo e intanto
offra ostie a Cristo, suo ospite”. Allora più nessuna immagine tocca i sensi.
Una ‘pia tirannia di Dio’ prende possesso. La preghiera e il pensiero della
morte si fondono. Lo scioglimento del dubbio, la rivelazione certa di ciò che è
incerto è per Giovanni il segno che siamo esauditi».
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