Con due decreti la Congregazione per la dottrina della fede (organo che ha assorbito le competenze della Commissione Ecclesia Dei), pubblicati entrambi in data 25.3.2020, sono stati approvati, con uno, sette nuovi prefazi nel rito Vetus Ordo e, con l’altro, si annuncia l’ingresso, sempre nel calendario Vetus, di nuovi santi, canonizzati dopo il 1960, e si indicano circa settanta santi di maggiore importanza del calendario del 1962, che avranno diritto di precedenza sui “nuovi” (che dovessero cadere nello stesso giorno).
Che dire di questi due provvedimenti?
Con riguardo al primo, ci informa il blog Messa in Latino: «(ci risultano quelli per: il SS. Sacramento, Ognissanti (si usa anche per il S. Patrono), la Dedicazione della chiesa - che già erano inseriti nell'appendice del Messale Romano del 1962, edizione francese -, i Martiri, gli Angeli, S. Giovanni Battista, e le Nozze) di cui per ora non è ancora stato pubblicato il testo». Sempre lo stesso blog esprime comunque un apprezzamento per «il prefazio De Nuptiis, tratto dalle stesse antiche fonti della tradizionale benedizione nuziale degli sposi».
Con riferimento al secondo decreto, che per la verità lo stesso blog aveva anticipato sin dal dicembre scorso (v. qui), ancora Messa in latino, ci precisa che «[l]a memoria dei Santi “nuovi” è facoltativa e qualora cadesse nello stesso giorno di un altro santo del 1962 senza precedenza, si farà doppia commemorazione nel caso che si festeggi il nuovo santo».
Due considerazioni ci viene di porgere al di là dei concreti contenuti dei due decreti. La prima considerazione è che la c.d. riforma della riforma, o forse sarebbe più corretto dire riforma della riforma della riforma, viene a toccare, inspiegabilmente, solo e soltanto il messale del 1962 e non quello del 1969-70. Che fretta c’era di toccare solo quel messale e non prima l’altro? Gli abusi, forse, non si son verificati principalmente con il secondo anziché col primo? E quindi era quello del ’69-’70 da correggere per primo per evitare o limitare gli abusi, non quello del ’62. Quindi, se fosse stato sincero l’intendimento dei riformatori della riforma, avrebbero pensato prima a “raddrizzare” il rito ordinario e poi, eventualmente, pensare alla forma straordinaria. C'è dietro dell'altro?
La seconda considerazione concerne propriamente l’inserzione dei nuovi santi. Non sappiamo chi verrà inserito. Per molte canonizzazioni post 1960 non ci sono problemi di sorta (si pensi, per es., a S. Pio da Pietrelcina o a S. Massimiliano M. Kolbe) di cui il popolo cristiano non dubita. Invece, per altre, qualche problema potrà esservi, sussistendo molti dubbi su quelle canonizzazioni (v. per es. lo studio di Mons. Gherardini, qui).
Pubblichiamo volentieri, comunque, riguardo a questi due provvedimenti il commento del nostro amico Franco Parresio.
Quo
magis, Cum sanctissima, Cui prodest…
di Franco Parresio
Sono di ieri i due decreti della
Congregazione per la Dottrina della Fede, che lasciano molto il tempo che
trovano: il Quo (re) magis (qui) e il Cum (mamma) sanctissima (qui): due provvedimenti atti a riformare il
Messale del 1962 con l’introduzione di nuovi sette prefazi e dei «santi
canonizzati dopo il 26
luglio 19 60 (data dell’ultimo aggiornamento del
Martirologio della forma extraordinaria)», come si legge
nella Nota della medesima Congregazione «circa la celebrazione
liturgica in onore dei santi nella forma extraordinaria del
Rito Romano» (qui).
Peccato che manchi un terzo
decreto: Cui prodest.
A chi giova, infatti, tutto questo? A
nessuno!
Eppoi, a che pro? A confondere soltanto
le idee e gli animi, innanzitutto e soprattutto degli stessi seguaci dell’Usus
Antiquior: già numericamente esigui e divisi, nonché contrapposti tra di
loro; ma accomunati tutti dalla diffamante definizione di “tradizionalisti”.
Infatti, sibillina è la frase che
leggiamo nella Nota della Congregazione per la Dottrina della
Fede circa «i sette nuovi prefazi eucaristici per la forma
extraordinaria del Rito Romano» (qui): «L’uso o meno, nelle relative
circostanze, dei prefazi nuovamente approvati rimane una facoltà ad
libitum. Ovviamente, si fa appello, al riguardo, al buon senso pastorale
del celebrante».
Sembra di leggere i prenotanda del
Messale di Paolo VI.
E così la “riforma della riforma” da
riguardare quest’ultimo (oramai in caduta libera), va ad interessarsi – guarda
caso – del solo Messale del ’62!
Forse per «affermare con sicurezza e con
autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile», secondo il
diktat bergogliano del 2017 (v. qui)?
Ma anche secondo quello benedettiano,
che – suadentemente – per dimostrare che «non c’è nessuna contraddizione tra
l’una e l’altra edizione del Missale Romanum», stabilisce che «nel
Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei
nuovi prefazi» (qui).
E, invece, la contraddizione c’è ed è
sotto gli occhi di tutti!
Falso, infatti, appare il principio
secondo cui «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a
vicenda» – semmai il contrario! –, dal momento che l’influenza è a senso unico.
Il sospetto fondato è che si voglia, con fare «insensibile, sottile, leggermente, dolcemente» (per dirla con un’aria molto famosa del Barbiere di Siviglia), aggiustare, corrompendola, «l’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio”, adeguandola vieppiù al “Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di Giovanni Paolo II». E questo partendo proprio dall’uniformare, in tutto e per tutto, il «Martirologio della forma extraordinaria» a quello della forma ordinaria; facendo poi il resto. I nuovi prefazi non sono, per caso, un preludio ad un successivo recepimento delle altre preghiere eucaristiche diverse dal Canone Romano? Staremo a vedere. Ma una cosa è certa: i tradizionalisti non in comunione con Roma (lefebvriani e sedevacantisti) rafforzeranno il loro aperto scetticismo verso il Summorum Pontificum, tenendosi alla larga da un eventuale pieno rientro nell’ovile romano; e quelli già nell’ovile – mai del tutto persuasi dalle rassicurazioni curiali – pronti a scappare. Mi auguro di sbagliarmi.
Il sospetto fondato è che si voglia, con fare «insensibile, sottile, leggermente, dolcemente» (per dirla con un’aria molto famosa del Barbiere di Siviglia), aggiustare, corrompendola, «l’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio”, adeguandola vieppiù al “Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di Giovanni Paolo II». E questo partendo proprio dall’uniformare, in tutto e per tutto, il «Martirologio della forma extraordinaria» a quello della forma ordinaria; facendo poi il resto. I nuovi prefazi non sono, per caso, un preludio ad un successivo recepimento delle altre preghiere eucaristiche diverse dal Canone Romano? Staremo a vedere. Ma una cosa è certa: i tradizionalisti non in comunione con Roma (lefebvriani e sedevacantisti) rafforzeranno il loro aperto scetticismo verso il Summorum Pontificum, tenendosi alla larga da un eventuale pieno rientro nell’ovile romano; e quelli già nell’ovile – mai del tutto persuasi dalle rassicurazioni curiali – pronti a scappare. Mi auguro di sbagliarmi.