Rilanciamo una nuova riflessione del nostro amico Franco Parresio. Buona lettura.
J. S. Klauber - J. B. Klauber, Sacrificio di Isacco, XVIII sec., museo diocesano, Trento |
E non abbandonarci alla tentazione…
di pensar male di Te
di Franco Parresio
Riprendo e rilancio volentieri
quanto dichiarato da don Nicola Bux in un’intervista rilasciata pochi giorni fa
e pubblicata su La Fede Quotidiana – dal titolo molto ad
effetto Coronavirus, don Bux: “Pandemia? Fa quasi rima con pandemonio” (v. qui)
– a proposito della infelicissima nuova traduzione del Padre nostro,
che da novembre prossimo sarà imposto a tutti, da recitarsi
dentro e fuori la messa.
Alla domanda “Che tempo stiamo
vivendo?”, il noto teologo barese rispondendo
afferma: “Quello assai delicato della prova. Io consiglio di meditare
su questo. Il Signore ci mette alla prova, ci misura, ecco quella famigerata
tentazione che con una maldestra traduzione si vuole eliminare dal Padre
Nostro. Una cattiva ed inopinata nuova traduzione. Nel Padre Nostro,
versione tradizionale noi chiediamo che Dio non ci introduca nella prova,
questo è il significato di indurre, significa introdurre. La tentazione,
dunque, è la prova di Dio che opera nella storia per valutare le nostra fede.
[…] Se uno conosce bene la rivelazione, sa che a volte Dio distoglie lo sguardo
da noi, si nasconde, e permette, lo permette lui, a Satana di agire, gli lascia
spazio per provare la nostra fede anche con eventi negativi e dannosi come
questo. Un male a fin di bene, una sorta di ammonimento. In sintesi, Dio
consente, non manda, il male, l’opera di Satana, per capire che esito ha questo
combattimento. Ha due esiti, chi si converte o chi si danna eternamente.
Ricordate che al mondo non si muove foglia che Dio non voglia e che Lui scrive
dritto su righe storte”.
In questo momento di crisi globale –
in tutti i sensi – ed esistenziale, appare davvero “cattiva ed inopinata” la nuova
traduzione del Padre Nostro!
Perché?
Perché – come ebbi già a dire in un
precedente articolo su questo tema (v. qui)
– imputa a Dio la colpa dei nostri fallimenti.
La
“angoscia provocata dal coronavirus ha portato molte persone che non si
ponevano il problema della fragilità della vita umana e del senso stesso della
vita, a considerarlo seriamente”, scrive Gotti Tedeschi, riportando un
colloquio avuto proprio con Don Bux (v. qui),
“tanto da trarne una lezione. […] La nostra supposta
autosufficienza, il sentimento di immortalità, spesso avvalorata dal successo
professionale (quasi sempre insostenibile) o dalla salute inattaccabile (su cui
confidavamo, scoprendo che è impossibile), si rivela tutt’un tratto essere una
illusione che ci apre gli occhi sui nostri limiti ineliminabili. Limiti che
pretendono soprattutto l’aiuto di Dio, […] in un momento come questo di
angoscia per questo virus di cui non capiamo molto”.
Attenti, dunque, a non pretendere
l’aiuto di Dio, accusandolo di averci abbandonato alla tentazione! Ci faremmo
ridere dietro – ma anche in faccia – da chi non si fa scrupoli a giudicare la
nostra fede “infantile”, secondo il severo giudizio dell’autorevole Erich
Fromm, dichiaratamente agnostico, che, ne L’arte di amare, afferma:
“Il Dio di Abramo può essere amato, o temuto come un padre, essendo la sua ira
e la sua intransigenza l’aspetto dominante. Poiché Dio è il padre, io sono il
figlio. Non sono emerso completamente dall’originario desiderio di onniscienza
e onnipotenza. Non ho ancora acquisito l’obiettività di accorgermi dei miei
limiti di essere umano, della mia ignoranza, della mia debolezza.
Pretendo ancora, come un bambino,
che ci sia un padre che mi perdoni, che mi custodisca, che mi punisca, un padre
che mi lodi quando sono obbediente, che si compiaccia dei miei meriti e si
adiri per la mia disobbedienza. Ovviamente, la maggior parte della gente non ha
superato nel suo sviluppo mentale questo stadio infantile, e di conseguenza la
fede in Dio, per molti, è la fede in un padre valido, illusione infantile”.
Meditate, gente! Meditate!
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