In occasione della Domenica delle Palme, in cui si celebra l’ingresso solenne di Gesù nella Città Santa, Gerusalemme, riprendiamo, rilanciandolo, questo contributo, già pubblicato nel 2018, ma assai utile in questi tempi.
La “Missa sicca” della Domenica delle Palme
A testimonianza della veneranda antichità dei riti della Settimana
Santa, rimontanti ai primi secoli della storia della Chiesa, la Domenica delle
Palme continua a officiarsi una cerimonia assai diffusa nel Medioevo e
scomparsa dopo il Concilio Tridentino, detta Missa sicca, ossia una
celebrazione che ricalca il modello della Messa, ma è priva della parte
sacrificale. Essa veniva officiata in occasione di benedizioni, o per i
matrimoni in alcune particolari circostanze; rimane oggi unicamente per il rito
di benedizione dei rami d’ulivo con cui i Cristiani inneggeranno a Cristo
entrante in Gerusalemme, siccome inneggiarono i fanciulli giudei a quel suo
solenne ingresso duemila anni fa.
Dopo Terza, avuta luogo more solito l’aspersione
domenicale, il Sacerdote rivestito di stola e piviale violacei accede all’altare,
lo venera col bacio, e va al lato dell’epistola, mentre il coro canta la
solenne antifona Hosanna filio David. ‘Hosanna’, come ben spiega il
Card. Schuster, indica un uso rituale tipicamente ebraico, svolto in occasione
delle grandi feste come la dedicazione del tempio, ovverosia il portare rami d’alberi
qua e là in occasione d’onori. Il fatto che a Nostro Signore sia stato tribuito
un siffatto ingresso nella Città Santa, infatti, prefigura direttamente la sua
divina regalità, poiché tale onore spettava generalmente alle feste in onore di
Dio, e non a uomini, per quanto importanti.
Il Sacerdote intanto prosegue le cerimonie come alla Messa: canta l’orazione,
con cui apre il cammino della Settimana Santa, richiedendo a Dio di
moltiplicare le grazie pel suo popolo e di farlo giungere alfine alla gloriosa
Risurrezione.
Dipoi, il suddiacono canta la Lezione, che è tratta dai capitoli XV e XVI dell’Esodo: in tale brano, infatti, oltre a mentovarsi settanta palme all’inizio del brano, viene preannunciata la missione salvifica del Cristo, poiché Iddio, sotto figura di manna, promise di dare il suo Divin Figliuolo. Soggiungesi poi un responsorio, a mo’ di graduale, che può scegliersi tra un brano di San Giovanni e uno di San Matteo, ambedue riferentesi alla condanna a morte del Redentore, dacché è attraverso di essa che a noi è elargito dal cielo ogni beneficio.
Dipoi, il suddiacono canta la Lezione, che è tratta dai capitoli XV e XVI dell’Esodo: in tale brano, infatti, oltre a mentovarsi settanta palme all’inizio del brano, viene preannunciata la missione salvifica del Cristo, poiché Iddio, sotto figura di manna, promise di dare il suo Divin Figliuolo. Soggiungesi poi un responsorio, a mo’ di graduale, che può scegliersi tra un brano di San Giovanni e uno di San Matteo, ambedue riferentesi alla condanna a morte del Redentore, dacché è attraverso di essa che a noi è elargito dal cielo ogni beneficio.
Intanto, viene benedetto l’incenso e il diacono domanda al Sacerdote la
benedizione, apprestandosi a cantare il Vangelo, con le consuete cerimonie
della Messa solenne.
La pericope evangelica è proprio l’Ingresso in Gerusalemme, secondo San
Matteo (capitolo XXI).
Tra i rituali della Messa secca s’inseriscono ora le preci di
benedizione dei rami. La Chiesa benedice
e distribuisce i rami perché già vede perfetto il trionfo di Cristo. Inoltre, essendo Egli il trionfatore e dovendo per Lui trionfare gli eletti in Cielo, convenientemente la benedizione e distribuzione vien fatta dal Sacerdote, che rappresenta Cristo.
Dopo aver cantato una orazione, il Sacerdote intona un prefazio in cui si esalta la regalità suprema di Nostro Signore, al termine del quale viene cantato il Sanctus, dimodoché insieme procedano la lode delle schiere celesti e quella delle turbe terrene. Si noti ancora una volta la perfetta identità di questo rituale con le cerimonie della Messa; soltanto, ora, anziché procedere alla Consacrazione, seguirà piuttosto la già preannunziata benedizione dei rami.
e distribuisce i rami perché già vede perfetto il trionfo di Cristo. Inoltre, essendo Egli il trionfatore e dovendo per Lui trionfare gli eletti in Cielo, convenientemente la benedizione e distribuzione vien fatta dal Sacerdote, che rappresenta Cristo.
Dopo aver cantato una orazione, il Sacerdote intona un prefazio in cui si esalta la regalità suprema di Nostro Signore, al termine del quale viene cantato il Sanctus, dimodoché insieme procedano la lode delle schiere celesti e quella delle turbe terrene. Si noti ancora una volta la perfetta identità di questo rituale con le cerimonie della Messa; soltanto, ora, anziché procedere alla Consacrazione, seguirà piuttosto la già preannunziata benedizione dei rami.
E dunque ciò avviene con cinque solenni orazioni, le quali mostrano
quale sia il mistero ed il significato dei rami di olivo e di palma, e come gli
uomini, in virtù della ricezione di tali sacramentali, vengano da essi aiutati
per mezzo della divina grazia. La benedizione viene conclusa dall’aspersione e
dall’incensazione dei rami.
Cantata un’ulteriore orazione in cui si chiede a Iddio di accoglierci,
mondati dal peccato, nel numero di quanti lo esaltano festanti coi rami di
palma, il Sacerdote distribuisce gli stessi al clero e poi al popolo, mentre il
coro canta il responsorio Púeri Hebræórum. Lavatosi le mani ai
piedi dell’altare e cantata un’altra orazione dal lato dell’epistola, ha inizio
la solenne processione, coll’invito del diacono: Procedamus in pace,
cui il coro risponde: In nomine Christi. Amen.
Avanti a tutti va il turibolo fumigante, segue la croce processionale,
velata e con un ramo di palma legato ad essa da un nastro violaceo, portata dal
suddiacono e accompagnata dagli accoliti coi ceri accesi, indi il clero, e per
ultimo il Sacerdote accompagnato dal diacono e dal cerimoniere, tutti reggenti
in mano i rami d’ulivo. Durante il tragitto, il coro canta numerose antifone,
ora tratte da brani evangelici, ora di composizione ecclesiastica, che
richiamano l’esultanza dei fanciulli ebrei in onore di Gesù Cristo.
Quando la processione ha termine, tutti si fermano anzi alla porta della
chiesa: quattro cantori entrano nel tempio e chiudono le porte, indi iniziano
il canto del poema di Teodolfo d’Orleans, rimontante al IX secolo, che
inizia Gloria, laus et honor tibi sit. Esso viene cantato da quelli
dentro la chiesa, ai quali rispondono tutti coloro che stanno fuori con il
ritornello. Il fatto che alcuni stiano dentro la chiesa cantando ed altri fuori
rispondendo, significa che gli Angeli, prima della Risurrezione e il trionfo di
Cristo, stavano nel Cielo chiuso agli uomini e, lodando Dio, lo pregavano di
restaurare il genere umano. A questi, i buoni mortali affidati alla speranza
divina, rispondevano cantando e pregando per esser a quelli congiunti.
Quinci, il suddiacono percuote tre volte la porta con la Croce astile,
sinché questa non viene aperta, e la processione rientra solennemente in chiesa
cantandosi il responsorio Ingrediente Domino. Ora quelli di fuori
si uniscono con quelli di dentro fino a formare un corpo solo, per significare
che l’ingresso fatto oggi da Cristo in Gerusalemme prefigurava la sua entrata
nella città del Paradiso dove i giusti dovevano unirsi con gli Angeli ed avere,
trionfanti, i segni e le palme della vittoria gloriosa. E, siccome tale
ingresso avvenne mediante la morte espiatoria di Cristo, e la sua Croce aprì
dunque ai giusti le porte del Paradiso, così è la Croce che simbolicamente apre
le porte della chiesa per farvi entrare i fedeli.
Con questa commovente cerimonia ricca di significato, si chiude l’ufficiatura
della “Missa sicca” e della relativa processione, e il Sacerdote, svestito il
piviale e indossati pianeta e manipolo di colore violaceo, inizia la vera e
propria Messa con le preghiere ai piedi dell’altare.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Dóminum nostrum Iesum Christum super pullum ásinæ sedére fecísti, et turbas populórum vestiménta vel ramos arbórum in via stérnere et Hosánna decantáre in laudem ipsíus docuísti: da, quæsumus; ut illórum innocéntiam imitári possímus, et eórum méritum cónsequi mereámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Dóminum nostrum Iesum Christum super pullum ásinæ sedére fecísti, et turbas populórum vestiménta vel ramos arbórum in via stérnere et Hosánna decantáre in laudem ipsíus docuísti: da, quæsumus; ut illórum innocéntiam imitári possímus, et eórum méritum cónsequi mereámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum.
Onnipotente sempiterno Iddio, che faceste sedere nostro Signore Gesù Cristo su di un asinello, e ordinaste alle turbe dei popoli di stendere per la via le vesti e i rami degli alberi, e a cantare “Osanna” in di Lui onore: concedete, ve ne preghiamo, che noi possiamo imitare l’innocenza di quei fanciulli, e meritiamo di conseguire al fine il loro merito. Per lo stesso Cristo Signor nostro.
Fonte: Traditio marciana, 4.4.2020
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