L’onanismo liturgico ai tempi del
coronavirus
di Franco Parresio
È proprio vero: al cattivo gusto non c’è mai
fine!
È davvero disgustoso quanto pochi giorni fa, in un
tweet – ormai cancellato – del 31 marzo, un solone insolente della nuova supposta
teologia liturgica ha sostenuto, affermando che la Messa senza congregazione sarebbe
una forma di «onanismo liturgico».
Mio Dio!, come siamo caduti in basso!
Nell’articolo, che riporta questa notizia (v.
qui), si legge
che il solone in questione (per sua disgrazia e di coloro che lo seguono
ordinario di Teologia in una università statunitense) «appartiene al partito di
Francesco».
E si vede!
Francesco per primo non si atterrebbe a quanto da
lui stesso stabilito attraverso la Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti, che, contro la diffusione del covid-19, vuole si
celebri «senza concorso di popolo e in luogo adatto, evitando la
concelebrazione e omettendo lo scambio della pace» (v. qui).
E ciò a prescindere che si tratti o meno dei riti della Settimana Santa. Lo
vediamo nelle liturgie mattutine in Santa Marta: puntualmente concelebrate con lo
scambio della pace tra i concelebranti; concelebranti che, se da una parte
stanno molto attenti a non infettarsi mantenendo le debite distanze, dall’altra
non si fanno minimamente scrupolo a comunicarsi bevendo allo stesso calice.
Di qui un sospetto del tutto legittimo: se la messa
privata è onanistica, quella congregata – stando alla terminologia del
solone – non può che apparire orgiastica e, per sua stessa natura,
fittizia… esattamente come molti riti delle tribù primitive (parola di Fromm).
Il solone trascura che la natura della messa è
anzitutto e soprattutto sacrificale… e, poi, comunionale. Peccato che non
arrivino a capirlo i non pochi santi sacerdoti, che se ne stanno chiusi in casa
(per modo di dire) a non dire messa: tanto a che serve se non c’è il popolo?
Questo pensano e dicono, trascurando che la messa, pur sine populo, è
comunque e sempre pro populo! E mai come in questo momento c’è forte
bisogno di messe! C’è bisogno che offrano il loro sacrificio eucaristico dai
comodi luoghi delle proprie residenze. Glielo ha ricordato – se lo hanno letto
e bene – San Giovanni Fisher alla seconda lettura dell’Ufficio delle Letture
del lunedì della V settimana di Quaresima:
«Questo sacrificio è così gradito e accetto a Dio,
che egli non può fare a meno – non appena lo guarda – di avere pietà di noi e
di donare la sua misericordia a tutti quelli che veramente si pentono.
Inoltre è un sacrificio eterno. Esso viene offerto
non soltanto ogni anno, come avveniva per i Giudei, ma ogni giorno per nostra
consolazione, anzi, in ogni ora e momento, perché ne abbiamo un fortissimo
aiuto».
Ma glielo ricorda pure il Codice di Diritto
Canonico:
«Sempre memori che nel mistero del Sacrificio
eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i
sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda vivamente la
celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza
dei fedeli, è un atto di Cristo e della Chiesa, nella cui celebrazione i
sacerdoti adempiono il loro principale compito» (can. 904).
E, infine, la pontificia Congregatio pro
Clericis, con la Nota circa La celebrazione quotidiana della Santa Messa
anche in assenza di fedeli (v. qui),
in cui si bacchetta quella categoria di preti che pratica «il cosiddetto ‘digiuno
celebrativo’ consistente nella pratica di astenersi […] dal celebrare la Santa
Messa, privandone così anche i fedeli. In altri casi, il sacerdote che non
svolge cura pastorale diretta ritiene non essere necessario celebrare ogni
giorno, se egli non ha possibilità di farlo per una comunità. Infine, alcuni
ritengono che, nel meritato periodo di riposo delle proprie vacanze, abbiano il
diritto di ‘non lavorare’, e pertanto sospendono anche la Celebrazione
eucaristica quotidiana. Cosa dire di tutto ciò?».
Più chiaro di così si muore!
Rinunciare per questi sacerdoti a ciò di più
prezioso sono stati ordinati equivale, dunque, a doverli tristemente
considerare quali “impiegati del sacro”, come ironicamente li ha definiti un
mio amico. E il fatto di giustificarsi dicendo che «comunque preghiamo,
recitando l’Ufficio», non è una bella scusa, anzi… giacché non c’è
bisogno di essere preti per poter recitare il Breviario: per loro è e
resta fondamentalmente un dovere, al quale non possono sottrarsi… come invece
per la messa.
Poveri a loro!
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