mercoledì 8 aprile 2020

L’onanismo liturgico ai tempi del coronavirus

Rilanciamo volentieri questo contributo del nostro amico Franco Parresio.

L’onanismo liturgico ai tempi del coronavirus

di Franco Parresio

È proprio vero: al cattivo gusto non c’è mai fine!
È davvero disgustoso quanto pochi giorni fa, in un tweet – ormai cancellato – del 31 marzo, un solone insolente della nuova supposta teologia liturgica ha sostenuto, affermando che la Messa senza congregazione sarebbe una forma di «onanismo liturgico».
Mio Dio!, come siamo caduti in basso!
Nell’articolo, che riporta questa notizia (v. qui), si legge che il solone in questione (per sua disgrazia e di coloro che lo seguono ordinario di Teologia in una università statunitense) «appartiene al partito di Francesco».
E si vede!
Francesco per primo non si atterrebbe a quanto da lui stesso stabilito attraverso la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che, contro la diffusione del covid-19, vuole si celebri «senza concorso di popolo e in luogo adatto, evitando la concelebrazione e omettendo lo scambio della pace» (v. qui). E ciò a prescindere che si tratti o meno dei riti della Settimana Santa. Lo vediamo nelle liturgie mattutine in Santa Marta: puntualmente concelebrate con lo scambio della pace tra i concelebranti; concelebranti che, se da una parte stanno molto attenti a non infettarsi mantenendo le debite distanze, dall’altra non si fanno minimamente scrupolo a comunicarsi bevendo allo stesso calice.
Di qui un sospetto del tutto legittimo: se la messa privata è onanistica, quella congregata – stando alla terminologia del solone – non può che apparire orgiastica e, per sua stessa natura, fittizia… esattamente come molti riti delle tribù primitive (parola di Fromm).
Il solone trascura che la natura della messa è anzitutto e soprattutto sacrificale… e, poi, comunionale. Peccato che non arrivino a capirlo i non pochi santi sacerdoti, che se ne stanno chiusi in casa (per modo di dire) a non dire messa: tanto a che serve se non c’è il popolo? Questo pensano e dicono, trascurando che la messa, pur sine populo, è comunque e sempre pro populo! E mai come in questo momento c’è forte bisogno di messe! C’è bisogno che offrano il loro sacrificio eucaristico dai comodi luoghi delle proprie residenze. Glielo ha ricordato – se lo hanno letto e bene – San Giovanni Fisher alla seconda lettura dell’Ufficio delle Letture del lunedì della V settimana di Quaresima:
«Questo sacrificio è così gradito e accetto a Dio, che egli non può fare a meno – non appena lo guarda – di avere pietà di noi e di donare la sua misericordia a tutti quelli che veramente si pentono. 
Inoltre è un sacrificio eterno. Esso viene offerto non soltanto ogni anno, come avveniva per i Giudei, ma ogni giorno per nostra consolazione, anzi, in ogni ora e momento, perché ne abbiamo un fortissimo aiuto».
Ma glielo ricorda pure il Codice di Diritto Canonico:
«Sempre memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda vivamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è un atto di Cristo e della Chiesa, nella cui celebrazione i sacerdoti adempiono il loro principale compito» (can. 904).
E, infine, la pontificia Congregatio pro Clericis, con la Nota circa La celebrazione quotidiana della Santa Messa anche in assenza di fedeli (v. qui), in cui si bacchetta quella categoria di preti che pratica «il cosiddetto ‘digiuno celebrativo’ consistente nella pratica di astenersi […] dal celebrare la Santa Messa, privandone così anche i fedeli. In altri casi, il sacerdote che non svolge cura pastorale diretta ritiene non essere necessario celebrare ogni giorno, se egli non ha possibilità di farlo per una comunità. Infine, alcuni ritengono che, nel meritato periodo di riposo delle proprie vacanze, abbiano il diritto di ‘non lavorare’, e pertanto sospendono anche la Celebrazione eucaristica quotidiana. Cosa dire di tutto ciò?».
Più chiaro di così si muore!
Rinunciare per questi sacerdoti a ciò di più prezioso sono stati ordinati equivale, dunque, a doverli tristemente considerare quali “impiegati del sacro”, come ironicamente li ha definiti un mio amico. E il fatto di giustificarsi dicendo che «comunque preghiamo, recitando l’Ufficio», non è una bella scusa, anzi… giacché non c’è bisogno di essere preti per poter recitare il Breviario: per loro è e resta fondamentalmente un dovere, al quale non possono sottrarsi… come invece per la messa.
Poveri a loro!

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