lunedì 13 aprile 2020

Una Pasqua che rimarrà nella storia

Questa Pasqua è davvero storica. Per varie ragioni.
La prima è perché, forse per la prima volta nella storia, la partecipazione del popolo di Dio alla celebrazione dei riti pasquali è stata limitata, a causa della pandemia in corso (v. Congregazione per il culto divino, decr. 25.3.2020). Non interessa a noi indagare se, a torto o a ragione, le autorità abbiano limitato i fedeli alla partecipazione ai riti. Non compete al cristiano tale giudizio, giacché – come ci raccomanda S. Paolo nella sua Epistola ai Romani – esso deve essere «sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna» (Rm. 13, 1-2). Se questo restringimento sia giusto, o no, lo potrà dire solo la storia. Quel che deve confortare il fedele è che la S. Messa, come anche i sacramenti, sono meri strumenti nella vita del cristiano, non costituiscono il fine della stessa. Per cui, va ricordato con S. Tommaso d’Aquino, che gratia non alligatur sacramentis: i sacramenti e la S. Messa sono strumenti ordinari attraverso cui la grazia ci viene comunicata. Ma a Dio non è impedito di comunicarla per mezzi straordinari, come nelle attuali circostanze davvero eccezionali, attraverso la preghiera e la penitenza, che ci deriva da questo “digiuno eucaristico”.
La seconda ragione della straordinarietà di questa Pasqua è che, non molti giorni fa, è stato pubblicato l’Annuario Pontificio dell’anno 2020, in cui il titolo di “Vicario di Cristo” e “Successore dell’Apostolo Pietro”, attribuiti a Jorge Mario Bergoglio, sono confinati tra i meri “titoli storici”, quasi che essi non abbiano, invece, una valenza profondamente teologica e siano connotanti l’ufficio di colui che siede sul Seggio di Pietro. Su questo tema, ci riserviamo nei prossimi giorni di proporre una nostra riflessione. In ogni caso, perché, dunque, questo confinamento di tali attributi all’ambito dei titoli storici? Ci stiamo avvicinando alla costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale, come del resto auspicato da Henry Kissinger in un recente articolo sul Wall Street Journal (vqui e qui) e da Avvenire in un articolo del 10.4.2020? Sì, è pur vero che, in diverse occasioni, sia Giovanni Paolo II (ad es., nel 1986, in occasione della visita al memoriale indiano di Gandhi, Raj Ghat: «Il Mahatma Gandhi insegnava che se tutti gli uomini e le donne, quali che siano le differenze tra loro, aderiranno alla verità, nel rispetto della peculiare dignità di ogni essere umano, sarà possibile realizzare un nuovo ordine del mondo, una civiltà fondata sull’amore. … Voglia Iddio guidarci e benedirci mentre ci sforziamo di camminare insieme, la mano nella mano, e costruire insieme un mondo di pace!») sia Benedetto XVI (ad es., in occasione del messaggio Urbi et orbi del Natale 2005: «Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! La forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un nuovo ordine mondiale, fondato su giusti rapporti etici ed economici») ne hanno parlato, auspicando la costituzione di questo Nuovo Ordine Mondiale. Persino Pio XII nei radiomessaggi natalizi tra il 1940 ed il 1943 ne aveva parlato, sebbene il papa preferisse l’espressione «nuovo ordine internazionale», in cui gli Stati non fossero “assorbiti” e “risucchiati” dal “nuovo ordine”, ma mantenessero le proprie individualità, soggettività e specificità. In ogni caso, papa Pacelli dava all’espressione una connotazione ben diversa, in quanto per quel Venerabile Pontefice tale nuovo ordine avrebbe dovuto fondarsi «sul diritto naturale e sulla rivelazione divina» (v. P. Brezzi, Pio XII papa, in Enciclopedia italianaII Appendice, 1949), ovvero essere  «radicato in un ordine naturale ed oggettivo di giustizia voluto da Dio, che non avrebbe potuto ricalcare quello prebellico»: tale opera sarebbe toccata «agli "uomini animati dalla fede in un Dio personale" nella costruzione della società futura» (F. Traniello, Pio XII, in Enciclopedia dei papi, 2000). Insomma, in Pio XII tale “nuovo ordine” avrebbe dovuto trovare la sua anima, in ultima analisi, in Dio e nella sua Legge e non già essere indipendente da Lui.
La connotazione, in altre parole, data all’espressione nei tempi moderni prescinde da questa tensione trascendentale e metagiuridica come auspicata da papa Pacelli, trovando – al contrario – fondamento unicamente nell’uomo e nella sua autocapacità di regolare tutti i suoi rapporti di ordine politico, sociale ed economico: Dio non avrebbe spazio alcuno in questo “nuovo ordine”. L’altra caratteristica è che in questo “ordine” le individualità dei singoli Stati sarebbero “assorbite” da una superiore autorità, perdendo, dunque, la loro soggettività e specificità. Insomma, l’idea di fondo è la creazione di quel “Padrone del mondo”, vaticinato da Benson. È singolare, ma il confinamento dei titoli di “Vicario di Cristo” e “Successore di Pietro” nell’ambito di quelli meramente storici sembrano trovare ispirazione in quel testo, tanto amato da Jorge Mario Bergoglio. Uno dei protagonisti, Julian Felsenburgh, in effetti, considera appunto la (sua) persona superiore all'ufficio che ricopre, mettendo in primo piano se stesso e relegando i titoli a mere espressioni storiche: del resto, le cariche, per lui, sono strumentali al disegno di diventare il “padrone del mondo”. Si legge nel romanzo: «Felsemburgh era semplice e complesso come la vita: semplice nell'essenza, complesso nella creatività. Ma la prova suprema della sua straordinaria missione si era rivelata in quel messaggio immortale. Non si poteva aggiungere una sola parola a ciò che lui aveva generalo: le linee direttive più divergenti, infatti, convergevano in lui, punto di partenza e punto d'arrivo. Nessuno ancora pensava se egli avrebbe dato o no prova della sua immortalità; sarebbe stato certamente positivo se la vita avesse rivelato in lui il suo sommo segreto: ma non era poi così necessario. Il suo spirito, infatti, riempiva il mondo: l'individuo non era più distinto dai suoi simili e la morte era da ritenersi come un increspamento che si produce qua e là sul placido mare. Dopo tanto tempo l'uomo era giunto a sapere che l'individuo non è nulla e la razza è tutto. La cellula riconosceva la propria totalità al corpo e i più grandi pensatori avevano persino dichiarato che la coscienza individuale doveva cedere il titolo di personalità alla massa degli uomini. Era infatti per questo intenso desiderio d'unità che gli uomini s'erano decisi a riappacificarsi nell'umanità totale. Diversamente, come sarebbe stato possibile spiegare la fine dei conflitti di parte e le rivalità nazionali?» (cap. I, parte III).
Con ciò non vogliamo dire che Jorge Mario Bergoglio voglia diventare “padrone del mondo”. Ci mancherebbe. Anzi, ci sentiamo di escluderlo radicalmente. 
È innegabile, tuttavia, che le sue azioni trovino in quel romanzo la loro precipua ispirazione.
Forse, quella modifica dell’Annuario Pontificio 2020 – senz’altro voluta ed approvata da Francesco - sia un messaggio che si è voluto lanciare perché sia letto ed inteso da chi di dovere, cioè dal futuro Padrone del mondo (cfr. E. Yore, Francis Footnote Follies: Why Francis Dropped the Title of Vicar of Christ…, in Remnant Newspaper, April 5, 2020, in trad. it. Perché Francesco ha rinunciato al titolo di Vicario di Cristo, in Unavox, aprile 2020).
Non sappiamo la risposta. Solo la storia ed il susseguirsi degli eventi, che stiamo vivendo, potranno rivelarcelo.
L’altra ragione di singolarità di questa Pasqua è che, proprio in prossimità di essa, il Vescovo di Roma, approfittando delle dirette streaming delle messe mattutine nella cappella dell’hotel Santa Marta, ha voluto, come dire, riesumare alcuni suoi ever green, come la discussa teoria circa la salvezza di Giuda e l’esclusione del titolo di corredentrice per la Vergine Maria (che sarebbe una tonterías). Ora, riservando anche sul tema dell’asserita salvezza del Traditore di dire la nostra, e appuntando l’attenzione sulla seconda tematica, non possiamo non rilevare come esso trovi, al contrario, il suo pieno fondamento tanto nella Scrittura quanto nella Tradizione della Chiesa (cfr. M. Guarini, Bergoglio: un guazzabuglio su Maria semplice discepola, per di più meticcia e giammai ‘Corredentrice’, in Libertà e persona, 14.12.2019; R. De Mattei, La teologia “meticcia” di papa Francesco, in Corrispondenza romana, 18.12.2019; S. Brachetta, Il valore corredentivo della “compassio” di Maria, in blog Aldo Maria Valli, Duc in altum, 20.12.2019; L. Siniscalchi, L’Addolorata Regina dei martiri, in Settimanale di Padre Piofasc. 36, 14.9.2014; C. Codega, Sulla via della Croce con Mariaivifasc. 44, 12.11.2017; C. Gnerre, Nella commozione … la Corredenzione di Mariaivifasc. 35, 9.9.2018; S. M. Manelli, L’anima trapassata dalla spada. I 7 Dolori della Madreivifasc. 9, 3.3.2019; A. M. Apollonio, I “punti fermi” della Corredenzione marianaivifasc. 5, 2.2.2020).  E proprio su questa problematica della corredenzione mariana, rilanciamo questo contributo del prof. De Mattei.

Una Pasqua che rimarrà nella storia

di Roberto de Mattei


La settimana di Pasqua del 2020 è destinata ad entrare nella storia, per la sua eccezionalità, come quel giorno di febbraio del 2013 in cui Benedetto XVI annunziò la sua rinunzia al pontificato. Un misterioso filo conduttore sembra legare questi due eventi. Un medesimo senso di vuoto li collega.
Benedetto XVI ha rinunziato al mandato petrino, senza spiegare i legittimi motivi morali che potessero spiegare quel suo gesto estremo. Papa Francesco, da parte sua, conserva giuridicamente questo mandato, ma non lo esercita e sembra addirittura volersi spogliare del più alto titolo che gli compete, quello di Vicario di Cristo, trascritto, nell’ultima edizione dell’Annuario Pontificio, come un appellativo storico, e non costitutivo. Se Benedetto XVI ha rinunciato all’esercizio giuridico del Vicariato di Cristo, sembra quasi che papa Francesco abbia rinunciato all’esercizio morale della sua missione. La sospensione delle cerimonie religiose in tutto il mondo, afflitto dal Coronavirus, sembra essere un’espressione simbolica, ma reale, di un’inedita situazione, in cui la Divina Provvidenza sottrae ai Pastori il popolo che essi hanno abbandonato.
Non sappiamo quali saranno le conseguenze politiche, economiche e sociali del Coronavirus, ma ne misuriamo in questi giorni le sue conseguenze sulla Chiesa. Un velo sembra essersi sollevato: è l’ora del vuoto, del gregge privo dei suoi Pastori. Piazza San Pietro, vuota nella Domenica delle Palme, sarà vuota anche la domenica di Pasqua. «Il Santo Padre – ha comunicato il Vaticano – celebrerà i riti della Settimana Santa all’altare della cattedra, nella basilica di San Pietro, senza concorso di popolo, in seguito alla straordinaria situazione che si è venuta a determinare, a causa della diffusione della pandemia da Covid-19».
Secondo la philosophia perennis, la natura ripudia il vuoto (natura abhorret a vacuo). Nell’ora del vuoto spirituale, l’anima di chi ha la fede si rivolge istintivamente a Colei che non è mai vuota, perché ripiena di tutte le grazie: la Beatissima Vergine Maria. Solo in Lei l’anima può trovare quella pienezza spirituale e morale che la piazza di San Pietro e le innumerevoli chiese chiuse in tutto il mondo non offrono più. E una Messa in streaming può soddisfare gli occhi, ma non riempie l’anima. Ma papa Francesco, invece di alimentare la devozione e il culto a Maria, vuole spogliare anche Lei dai titoli che Le spettano. Il 12 dicembre 2019 il Papa aveva liquidato la possibilità di nuovi dogmi mariani, come quello su Maria corredentrice, affermando: «quando arrivano storie per cui si dovrebbe dichiarare questo, o fare quest’altro dogma o questo, non perdiamoci nelle sciocchezze». E il 3 aprile 2020 ha ribadito che la Madonna «non ha chiesto di essere una quasi redentrice, o una corredentrice. No. Il redentore è uno solo. Soltanto discepola e madre». 
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Queste parole sono state espresse alla vigilia della Settimana Santa, che è quella in cui la Madonna completa sul Calvario la sua missione di corredentrice e mediatrice di tutte le grazie. Papa Benedetto XV ne enuncia così la ragione: «Come ella soffrì e quasi morì con il Figlio suo sofferente e morente, così rinunciò per la salvezza degli uomini ai suoi diritti di madre su questo Figlio e lo immolò per placare la divina giustizia, sicché si può dire, a ragione, che ella abbia redento con Cristo il genere umano. Evidentemente per questa ragione tutte le diverse grazie del tesoro della redenzione vengono anche distribuite attraverso le mani dell’Addolorata» (Lettera Apostolica Inter sodalicia, 22 marzo 1918).
Secondo alcuni teologi, la parola corredentrice assorbe quella di mediatrice; secondo altri, come don Manfred Hauke, la parola mediazione universale di Maria si presta a un significato più ampio di quello di corredenzione, includendone il contenuto (Introduzione alla Mariologia, Eupress FTL, Lugano 2008, pp. 275-277). Essa integra l’aspetto “discendente”, per cui le grazie arrivano agli uomini, con quello “ascendente” espresso dalla corredenzione, attraverso cui la Madonna si unisce al sacrificio di Cristo. I due titoli sono in ogni modo complementari, come insegna mons. Brunero Gherardini nel suo saggio La corredentrice nel mistero di Cristo e della Chiesa (Viverein, Roma 1998), e si collegano a quello di Regina del Cielo e della terra.
Ma è necessario continuare? San Bernardo dice: «De Maria numquam satis» (Sermo de Nativitate Mariae, Patrologia Latina, vol. 183, col. 437D) e sant’Alfonso Maria de’ Liguori afferma: «Quando un’opinione onora in qualche modo la santa Vergine, ha un certo fondamento e non ha nulla di contrario né alla fede né ai decreti della Chiesa, né alla verità, il non accettarla e il contraddirla perché anche l’opinione opposta potrebbe essere vera, denota poca devozione verso la Madre di Dio. Io non voglio essere annoverato fra questi spiriti poco devoti, né vorrei che lo fosse il mio lettore, ma piuttosto vorrei essere annoverato fra coloro che credono pienamente e fermamente tutto ciò che senza errore si può credere delle grandezze di Maria» (Le glorie di Maria, Cap. V, § 1).
I devoti di Maria sono una famiglia spirituale che ha il suo prototipo e patrono in san Giovanni Evangelista, l’apostolo prediletto, che ricevette da Gesù, sul Calvario, una immensa eredità. Tutto è riassunto nelle parole di Gesù, quando sulla Croce, «vedendo sua madre e il discepolo che Egli amava, disse a sua madre: ‘Donna, ecco, il figlio tuo’ e rivolgendosi a san Giovanni: ‘Ecco la madre tua’» (Gv. 19, 26-27). Con queste parole Gesù stabilì un legame divino e indissolubile non solo tra Maria SS.ma e san Giovanni, rappresentante del genere umano, ma tra Lei e tutte le anime che di san Giovanni avessero seguito l’esempio di fede e di fedeltà. San Giovanni è il modello di coloro che nell’ora del tradimento e della rinuncia, rimangono fedeli a Gesù, attraverso Maria. «Dio-Spirito Santo vuol formarsi degli eletti in Lei e per mezzo di Lei e Le dice: ‘in electis meis mitte radices’ (Siracide 24, 12)», scrive san Luigi Grignion di Montfort (Trattato della Vera devozione alla Santa Vergine, n. 34), assicurandoci che i suoi devoti riceveranno una fede ferma e incrollabile che li farà rimanere saldi e costanti in mezzo a tutte le tempeste (ivi, n. 214). Plinio Corrêa de Oliveira ha dimostrato come la devozione mariana, non esteriore e non incostante, ma ferma e perseverante, sia un fattore decisivo, nello scontro tra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione che si acuirà sempre di più nei tempi oscuri che ci attendono. Maria, mediatrice universale, è infatti il canale attraverso il quale passano tutte le grazie e le grazie pioveranno in abbondanza per chi la prega e lotta per Lei (Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, ed. it. Sugarco, Milano 2009, pp. 319-332).
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Il grande arcidiacono d’Évreux, Henri-Marie Boudon, alla cui spiritualità si formò san Luigi Maria Grignion di Montfort, scriveva che nelle calamità pubbliche, come le guerre o le epidemie, noi ce la prendiamo con gli altri, mentre bisognerebbe prendersela con noi stessi e con i nostri peccati: «Dio ci colpisce per essere contemplato e noi invece non solleviamo gli occhi dalle creature» (La dévotion aux saints anges, Clovis, Condé-su-Noireau 1998, p. 265). In questi giorni inquietanti, non affatichiamoci a cercare quale sia la mano degli uomini dietro la pandemia. Accontentiamoci di scorgervi la mano di Dio. E poiché la Madonna, oltre che corredentrice e mediatrice, è anche regina dell’universo, non dimentichiamo che Dio ha assegnato a Lei il compito di intervenire nella storia, opponendosi all’azione che vi esercita il demonio. Per questo quando il Signore flagella l’umanità l’unico rifugio è Maria. Da Lei attinge la forza chi non abbandona il suo posto, ma resta in campo per combattere l’ultima battaglia: quella per il trionfo del suo Cuore Immacolato.

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