Con la Domenica delle Palme, inizia la Settimana Santa, la “Grande Settimana” come veniva chiamata sin dal IV sec.
Per entrare in
sintonia con i misteri che mediteremo in questo periodo, rilanciamo questo
contributo storico sulla testimonianza storica della pellegrina Egeria intorno
alla commemorazione dell'ingresso trionfale di Gesù nella Città Santa, Gerusalemme, celebrata nell’odierna domenica.
Una
testimonianza su come si celebrava la Domenica delle palme a Gerusalemme
Egeria e la festa dei rami di ulivo
di Fabrizio Bisconti
L’opera è conservata per circa un terzo ed è stata tramandata da
un unico manoscritto dell’undicesimo secolo, redatto nell’Abbazia di
Montecassino e rinvenuto ad Arezzo nel 1884 da Gian Francesco Gamurrini, che lo
pubblicò nel 1887.
Il nome dell’autrice — come si diceva — è incerto e, a seconda
delle versioni del testo, viene definita Aetheria o Egeria,
ma alcuni indizi sull’identità della nobildonna vengono dal monaco Valerio,
che, nel settimo secolo scrisse una lettera, che (insieme ad altri testi)
completa il manoscritto aretino.
Da tutti questi elementi, che lasciano indefinito il ruolo della
donna, sicuramente di altissimo rango, di elevato potenziale economico e di
grande cultura, tanto da potersi permettere un viaggio lungo e costoso, ma
difficilmente compatibile con una monaca, si evince che la «eccezionale
pellegrina» si trattiene per più di tre anni a Gerusalemme, tanto da venire a
conoscenza di tutte le celebrazioni della Settimana santa nella città santa,
con le relative manifestazioni liturgiche.
La pellegrina spagnola ricorda — tra l’altro — la festosa
celebrazione della Domenica delle palme: «La domenica in cui si entra nella
settimana pasquale […] tutto il popolo sale sul monte degli olivi […] e quando
arriva l’ora undicesima (cioè le cinque del pomeriggio) si legge quel passo del
vangelo, dove i fanciulli vanno incontro al Signore con rami di olivo o palme
[…]. Allora il vescovo si alza in piedi e con lui tutto il popolo. Di là, ossia
dalla sommità del monte degli olivi, si fa tutto il percorso a piedi mentre il
popolo, procedendo dinanzi al vescovo, al canto di inni e antifone, risponde
continuamente: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. E tutti quanti i
bambini di quei luoghi, anche coloro che non possono camminare per la tenera
età e sono tenuti sulle spalle dai loro genitori, tengono in mano dei rami, chi
di palma e chi di olivo, nello stesso modo con cui fu accompagnato il Signore,
così viene festeggiato anche il vescovo. Dalla cima del monte si va fino alla
città e, poi, attraverso la città fino all’Anastasi» (Diario di viaggio
La festosa processione, che è giunta sino ai nostri giorni,
rievoca il momento in cui il Cristo, proveniente da Betania, entra
trionfalmente in Gerusalemme, secondo il racconto dei quattro vangeli canonici (Matteo 21,
1-11; Marco 11,
1-11; Luca 19,
28-44; Giovanni 12,
12-19). Il Cristo si ferma nel piccolo villaggio di Betfage che, in aramaico,
significa “casa dei fichi verdi” o “dei frutti verdi”, alludendo alla
maledizione che Gesù pronunciò il giorno dopo, prima di cacciare i mercanti dal
Tempio.
Il piccolo villaggio doveva situarsi sul versante orientale del
monte degli olivi, proprio sulla strada, che conduceva a Betania e dove si
ambienta l’incontro di Gesù con Marta e Maria, prima della risurrezione del
loro fratello Lazzaro. Il fortuito ritrovamento nel 1876 da parte di un
contadino di un brano di affresco medievale con le scene della resurrezione di
Lazzaro e dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme spinse la Custodia di Terra
Santa ad acquistare il terreno in corrispondenza del villaggio, già nel 1883, e
a commissionare all’architetto Antonio Barluzzi il restauro del piccolo
santuario nel 1954.
La piccola chiesa rende memoria dei fatti raccontati dai
vangeli. Nei sinottici, infatti, Gesù inviò due discepoli a prendere un asino.
Matteo riferisce che portarono un puledro e un’asina; Marco e Luca che gli
portarono solo il puledro; Giovanni, più succintamente, racconta che Gesù,
trovato un asinello, vi sedette sopra.
Ma andiamo con ordine e ascoltiamo la narrazione di Marco:
«Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il monte
degli olivi, mandò due dei discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio che vi
sta di fronte e subito entrati in esso troverete un asinello legato, sul quale
nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo e se qualcuno vi dirà: “Perché
fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui
subito”. Andarono e trovarono un asinello legato vicino ad una porta, fuori
sulla strada, e lo sciolsero. Ed alcuni dei presenti però dissero loro: “Che
cosa fate sciogliendo questo asinello?” Ed essi risposero come aveva detto loro
il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l’asinello da Gesù e vi
gettarono sopra i mantelli, ed egli vi montò sopra» (Marco 1, 1-7).
Ed ecco che il Cristo diede avvio all’ingresso trionfale in
Gerusalemme, tra i discepoli e il popolo in festa. Persino i giovani e i
bambini agitavano fronde di palma e di olivo ed alcuni salirono sugli alberi,
tanto da ricordare il piccolo pubblicano ebreo che, a Gerico — secondo quanto
riferisce Luca (19, 1-10) — salì sul sicomoro per avvistare il Cristo.
L’episodio dell’ingresso festoso in Gerusalemme va letto in
chiave messianica, sottolineata dal richiamo profetico di Zaccaria (9, 9),
relativamente al re pacifico, che entra nella sua capitale. Ma il tutto rimanda
anche alla festa gioiosa delle capanne, celebrata in autunno al canto del Salmo
118, che rievoca la salvezza, con una processione di ringraziamento, per la
salvezza operata inaspettatamente dal Signore.
Ebbene, l’ingresso di Cristo in Gerusalemme avviene montando
un’asina, cavalcatura in tempo di pace, rispetto ai cavalli, che trainano i
carri da guerra. Il Cristo, in questo senso, è come Salomone, che venne fatto
salire sulla mula del re Davide al momento della sua incoronazione (1 Re 1,
38-40). E mentre il Cristo incedeva sull’umile asina, pura, in quanto mai
cavalcata, venivano stesi mantelli, al suo passaggio, per renderlo ancora più
regale, per sottolineare la valenza messianica e per aprire la Settimana della
Passione con tutti i segni suggeriti dalle profezie.
Fonte:
L’Osservatore romano, 27.3.2021, p. 7