Il calendario sta per commemorare i dolori di Cristo e
le gioie della Risurrezione. Nove settimane ci separano da queste grandi
solennità. È tempo che il cristiano disponga la sua anima alla nuova visita del
Signore, che sarà più santa e decisiva di quella che si degna di farci con la
sua Natività.
Intanto la santa Chiesa sente il bisogno di scuoterci
dal nostro assopimento e vuole dare ai nostri cuori un potente impulso alle
cose celesti. Perciò sopprime l'Alleluia, il canto celeste che ci associava ai
cori degli Angeli. Siamo degli uomini fragili, peccatori sempre rivolti alla
terra: come abbiamo potuto con la nostra bocca pronunciare quella parola di
cielo? Fu l'Emmanuele, il divino conciliatore fra Dio e gli uomini, che ce la
portò da lassù fra le gioie della sua nascita; e noi osammo ripeterla. La
ripeteremo ancora con rinnovato entusiasmo fra le allegrezze della sua
Risurrezione; ma per cantarla degnamente dobbiamo aspirare al soggiorno donde
essa discese la prima volta. Alleluia non è una parola vuota di significato, o
una profana melodia: è il ricordo della patria nell'esilio e lo slancio verso
il ritorno.
Significato della parola Alleluia.
La parola significa Lodate Iddio. Ma il suo accento è tale, che la Chiesa, per
non potersi sottrarre al compito di lodare il Signore per ben nove settimane,
la sostituirà con un'altra espressione: Laus tibi Domine, Rex aeternae gloriae!
Lode a Te, Re dell'eterna gloria! Ma questa è una lode che nasce dalla terra,
mentre l'altra discese dal cielo.
"La parola Alleluia, dice il pio Ruperto, è una
goccia di quella gioia suprema di cui trasalì la Gerusalemme celeste. I
Patriarchi e i Profeti la custodirono in fondo al cuore, finché non la emise lo
Spirito Santo con maggiore pienezza sulle labbra degli Apostoli. Significa
l'eterno festino degli Angeli e delle anime beate che lodano Dio, contemplano
senza fine la sua faccia e cantano senza mai stancarsi le sempre nuove infinite
meraviglie. La nostra limitatezza di viatori non arriva a gustare tale festino;
solo possiamo partecipare alle gioie dell'attesa e sentirne la fame e la sete.
Forse per questo la misteriosa parola Alleluia non fu mai tradotta
dall'originale ebraico, quasi a significare, nell'insufficienza di riprodurla,
ch'è un'allegrezza molto estranea alla nostra vita presente" (Des divins
offices L. I, c. 35).
Austerità della Settuagesima.
Durante i giorni che dobbiamo sentire l'asprezza dell'esilio, se non vogliamo
essere abbandonati come disertori in seno a Babilonia, è necessario essere
premuniti contro gli allettamenti del pericoloso soggiorno nella terra della
cattività. Ecco perché la Chiesa, preoccupata delle illusioni e pericoli che
corriamo, ci viene incontro con un provvedimento così solenne. Togliendoci il
grido della gioia, ci esorta a purificare le nostre labbra; se vogliamo un
giorno tornare a ripetere la parola degli Angeli e dei Santi, dobbiamo
purificare col pentimento i nostri cuori, contaminati dal peccato e
dall'affetto ai beni terreni. Quindi svolge sotto ai nostri occhi il triste
spettacolo della caduta originale, da cui scaturirono tutte le disgrazie, e ci
fa rilevare la necessità d'una redenzione. Piange per noi e vuole che anche noi
piangiamo insieme a lei.
Accettiamo dunque la legge che ci viene imposta.
Sospese per breve tempo le sante gioie, comprendiamo ch'è ora di smetterla con
le frivolezze del mondo. Soprattutto liberiamoci dal peccato, che ha regnato
tanto tempo in noi. Cristo s'avvicina con la sua Croce e viene a riparare ogni
nostro danno col frutto sovrabbondante del suo Sacrificio. Non permetteremo,
no, che il suo sangue, a guisa di rugiada mattutina che piove sulla calda
sabbia del deserto, cada invano sulle nostre anime. Confessiamo umilmente la
nostra condizione di peccatori, e come il pubblicano del Vangelo che non osava
alzar lo sguardo, riconosciamo che è giusto, almeno per poche settimane, non
accennare a quei canti che furono troppo familiari alla nostra lingua di
peccato, né presumere eccessivamente di quella fiducia che molte volte
distrusse in noi il santo timor di Dio.
Purtroppo, la negligenza delle norme liturgiche è
l'indice manifesto dell'affievolimento nella fede, in una cristianità. Eppure
ce n'è tanta intorno a noi, che anche molti dei cristiani abituati a
frequentare la chiesa ed i Sacramenti, si accorgono ben poco e con molta
indifferenza della sospensione dell'Alleluia. A stento parecchi di loro vi
prestano una leggera attenzione, imbevuti come sono d'una pietà affatto
privata, e forse estranea al pensiero della Chiesa. Se cadranno queste righe
sotto ai loro occhi, ci auguriamo che servano a farli riflettere sulla sovrana
autorità e saggezza della Chiesa, Madre comune, la quale effettivamente
considera la sospensione dell'Alleluia come uno dei fatti più gravi e solenni
dell'Anno Liturgico.
A tale proposito presentiamo due belle Antifone, che
pare siano di origine romana, e che noi attingiamo nell'antifonario di san
Cornelio di Compiègne, pubblicato da Dom Dionigi di S. Marta:
Ant. - Il buon Angelo del Signore t'accompagni, Alleluia.
E ti faccia fare un prospero viaggio, affinché
ritorni con noi nella gioia, Alleluia, Alleluia.
Ant. - Alleluia. Resta con noi anche oggi; domani partirai, Alleluia.
Quando si farà giorno ti metterai in cammino,
Alleluia, Alleluia, Alleluia.
Le Chiese di Francia, nel XIII secolo e oltre, ai Vespri del sabato di
Settuagesima cantavano quest'Inno commovente, conservato in un manoscritto del
X secolo:
INNO
Alleluia è un canto di dolcezza, una voce d'eterna gioia.
Alleluia è il canto melodioso che i celesti cori non cessano di far risuonare nella casa di Dio.
Alleluia! celeste Gerusalemme, madre beata, patria alla quale abbiamo diritto di cittadinanza.
Alleluia! è il grido dei tuoi abitatori fortunati; ma noi esiliati sulle rive dei fiumi di Babilonia, non abbiamo altro che lacrime.
Alleluia! non siamo sempre degni di cantarlo. Alleluia! i nostri peccati ci obbligano a sospenderlo, perché è l'ora di piangere le nostre colpe.
Accogliete dunque, o Beata Trinità, questo canto per il quale vi supplichiamo di farci assistere un giorno alla Pasqua celeste, dove a gloria vostra, in seno alla felicità, canteremo l'eterno Alleluia. Amen.
Nell'attuale Liturgia l'addio all'Alleluia che fa la Chiesa è più semplice, e consiste nel farci ripetere quattro volte la misteriosa parola alla fine dei Vespri del Sabato:
Benediciamo il Signore, Alleluia, Alleluia.
Rendiamo grazie a Dio, Alleluia, Alleluia.
D'ora in poi, a partire dalla seguente Compieta, non sarà più udito quel canto celeste fino a quando esploderà sulla terra il grido della Risurrezione.
Fonte: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 424-426.
I monaci di Norcia seppelliscono l'Alleluia prima della Settuagesima del 2023. Fonte Facebook |
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