2. Per
chiarire questa pubblicazione è bene ripercorrere brevemente l’antefatto. I
cinque cardinali firmatari, in ragione della loro responsabilità di assistenza
alla Sede Petrina nella cura quotidiana della Chiesa universale, allarmati –
come si legge nella Notifica ai fedeli laici a norma del can.
212 § 3 del Codice di diritto canonico – da «varie dichiarazioni di alcuni
alti Prelati inerenti alla celebrazione del prossimo Sinodo dei Vescovi,
palesemente contrarie alla costante dottrina e disciplina della Chiesa, e che
hanno generato e continuano a generare tra i fedeli e in altre persone di buona
volontà grande confusione e la caduta in errore», manifestando, al
contempo, la loro preoccupazione circa quanto si prospetta nell’assemblea
sinodale di prossima apertura, sottoponevano a Francesco, con lettera del
10.7.2023, cinque Dubia affinché lo stesso potesse, attraverso
i suoi responsa [risposte], ribadire la dottrina e la
disciplina della Chiesa.
Le
ragioni di preoccupazione, tra le altre cose, derivavano dal fatto che, per un
verso, da più parti si erano sollevate questioni circa la possibilità di benedire
le unioni tra persone dello stesso sesso (in questo senso, pioniere sono state
le chiese tedesca ed olandese: cfr. Gianni Cardinale, Benedizioni delle
coppie omosessuali e celibato, strappo della Chiesa tedesca, in Avvenire, 11.3.2023; Tonia
Mastrobuoni, Il sinodo tedesco sfida il Vaticano: "Sì alle
benedizioni delle coppie dello stesso sesso", in La Repubblica, 10.3.2023;
Innocenzo, “Per le coppie che si amano”. Il documento del sinodo
cattolico tedesco sulla benedizione delle unioni omosessuali, in Progetto Gionata, 6.4.2023; Leone
Grotti, Coppie gay. Cattolici e anglicani cedono alla «dittatura del
relativismo», in Tempi, 2.9.2023; Luisella
Scrosati, «Noi vescovi belgi benediciamo le coppie gay, con l’ok del
Papa», in LNBQ, 22.3.2023); per altro
verso, anche l’Instrumentum Laboris del c.d. Sinodo sulla
sinodalità, lungi dal fugare questi timori, non mancava di destare
non pochi allarmi nei più attenti osservatori (cfr. Nico Spuntoni, Il
Sinodo dei timori: aria di scisma nella Chiesa di Francesco?, in Il Giornale, 27.8.2023; Jacopo
Scaramuzzi, La spinta del sinodo su gay, donne diacono e preti sposati:
“La crisi degli abusi chiede alla Chiesa una riforma”, in La Repubblica, 20.6.2023).
Tematica,
questa, altamente divisiva all’interno della Chiesa (cfr. di recente: „Christen
verschanzen sich nicht hinter glaubensfeindlichen Ideologien“, in Kath.net, 29.9.2023, trad.
it. Card. Müller: “Una ‘benedizione’ fittizia di coppie dello stesso
sesso non è solo una bestemmia contro il Creatore del mondo e dell’umanità, ma
anche un grave peccato contro la salvezza delle persone interessate”,
in Blog di Sabino Paciolla,
30.9.2023; Mons. Joseph E. Strickland, Vescovo Strickland: Dio non
benedice e non può benedire il peccato, in Osservatorio
Internazionale Card. Van Thuan, 28.9.2023).
Oltre
al thema della benedizione delle unioni tra persone dello
stesso sesso (su cui, peraltro, la Congregazione per la dottrina della fede,
con un Responsum del 22.2.2021, aveva dato già
risposta negativa), altro timore destava la questione dell’accesso agli ordini
sacri delle donne, in primis al diaconato, svuotando di
significato il Magistero pontificio sul punto. Lo stesso Giovanni Paolo II,
approvando il Responsum ad dubium del 28.10.1995 (v.
nota di commento qui), in
effetti, chiariva che la Lett. ap. Ordinatio
Sacerdotalis del 1994 aveva avuto l'intento e l'effetto di
certificare, per così dire, che quella dottrina fosse già stata proposta
infallibilmente dal Magistero ordinario e universale, e quindi andava creduta
per Fede. Tale orientamento era stato mantenuto lodevolmente dall’allora
Congregazione per la dottrina della Fede con nota del 29.5.2018 (cfr.
Gianni Cardinale, Dottrina della fede: il «no» alle donne prete è
definitivo, in Avvenire, 30.5.2018).
Trattandosi
di questioni attinenti direttamente al depositum fidei ed a
Verità rivelate e definitive, esse non avrebbero dovuto neppure esse discusse
nell’ambito di un sinodo né presentate come oggetto di disquisizione
nell’ambito di un Instrumentum Laboris.
Ad
colorandum, come ulteriore motivo di allarme vi era la prospettata decisione
circa l’abolizione generalizzata, per la Chiesa latina, dell’obbligo del
celibato sacerdotale, come richiesto, del resto, dallo stesso sinodo tedesco.
Ad
onor del vero, quello del celibato sacerdotale è stato da secoli un tema caro
ai Germani. Nel XVI sec., cioè all’indomani della rivolta luterana, vi fu un
ampio dibattito sul celibato e sulla partecipazione dei fedeli alla messa. Il
papa, sotto la pressione dell’imperatore Massimiliano II d’Asburgo, succeduto
al padre Ferdinando I, nel luglio 1564, istituì a Roma una commissione di
cardinali, canonisti e teologi per discutere circa il connubio dei preti:
questo era un tema talmente scottante da costituire, all’epoca, il più
importante negoziato tra il papa e l’imperatore del tempo. Nulla di nuovo sotto
il sole, quindi, rispetto a quanto oggi accade. Pio IV ed il suo entourage,
infatti, conducevano una politica di «iucunda concordia», come fu
definita, con la corte imperiale, «cercando soluzioni di compromesso sia con
Ferdinando sia con il figlio» (così ricorda Elena Bonora, Giudicare
i vescovi. La definizione dei poteri nella Chiesa postridentina, Roma-Bari,
Laterza, 2007, p. 255).
Tornando
al nostro tema, quindi, i Dubia dei cardinali nascevano a
ragion veduta.
La formulazione dei Dubia, infatti, afferiva proprio su questi aspetti controversi nella Chiesa di oggi, col chiaro intento di provocare (se così possiamo dire) un chiaro intervento magisteriale che fosse in grado di superare le perplessità suscitate dall’Instrumentum Laboris e che estromettesse, di fatto, dalla discussione quelle questioni su cui il Magistero si fosse pronunciato autorevolmente, scongiurando al contempo il pericolo di uno scisma lacerante per la Catholica.
3. Bergoglio,
con straordinaria celerità, con lettera da lui firmata dell’11.7.2023, forniva
delle risposte, le quali, in verità, lasciavano aperte le questioni a lui
sottoposte ed al contempo adombravano nuove perplessità.
I
cinque porporati, dopo aver studiato con attenzione la lettera bergogliana,
ravvisavano che essa non riscontrava, come sarebbe stato d’uopo in simili
frangenti, in maniera lapidaria (con un Sì o con un No),
mantenendo un tono equivoco ed ambiguo, secondo uno stile a cui da tempo
Francesco ci ha abituati: lo stile del “sì, ma anche no” o, se vogliamo,
del “ni, che non è sì, ma neanche no”. Uno stile, se per questo,
tutt’altro che assimilabile a quello evangelico: «Sia invece il vostro
parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt. 5, 37).
Un Dubium,
in effetti, lo diciamo per chi fosse non avvezzo ai lavori ed al linguaggio ed
alla prassi ecclesiastica, rappresenta – dal punto di vista teologico-canonico
– un atto giuridico con il quale si chiede alla Sede Apostolica, ovvero ad un
Dicastero della Curia romana (ad es., il Dicastero della Dottrina della Fede),
la risoluzione di una o più quaestiones giuridico-teologiche
sollevate, come avviene normalmente, da pastori o anche da fedeli, che hanno
bisogno di un chiarimento orientativo, appunto, su una questione controversa di
fronte all’incertezza suscitata da affermazioni o da prassi problematiche circa
ambiti decisivi per la vita o la fede cristiana. La risoluzione di un Dubium si
concreta, appunto, in un Responsum ad dubium, mediante un atto
avente comunque valenza canonica (e, vista la natura dei Dubia formulati,
anche teologica) (ad es., un rescritto) per tutta la Chiesa.
Al
contrario, la risposta di Francesco era ritenuta – dai cinque cardinali – del
tutto inadeguata allo scopo. E, possiamo dire, non pertinente con la natura
dell’atto richiesto. Per questa ragione, si legge nella Notifica,
riformulavano «i dubia per suscitare una risposta chiara,
basata sulla perenne dottrina e disciplina della Chiesa», che venivano
sottoposti nuovamente alla Sede Petrina, a cui però Francesco, ad oggi, non
forniva alcuna risposta.
Del resto, non si sperava in una risposta da parte di questi. Lo lasciava intendere, qualche tempo fa, il neo-cardinale Víctor Manuel Fernández, neo-prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il quale, in un’intervista per La Civiltà cattolica, parlando dell’Esort. Ap. Amoris laetitia, così commentava: «Francesco ha subito inviato loro una lettera formale, confermando che il senso del capitolo VIII dell’AL è questo. Ma ha aggiunto: “Non ci sono altre interpretazioni”. Non è necessario attendersi risposte diverse dal Papa. Tanto gli orientamenti quanto la lettera del Pontefice sono stati pubblicati negli Acta Apostolicae Sedis, insieme a un rescritto che li dichiara “magistero autentico”. Di conseguenza non ci sono più dubbi, ed è chiaro che il discernimento che tiene conto dei condizionamenti o fattori attenuanti può avere conseguenze anche nella disciplina sacramentale» (Antonio Spadaro, Vita e dottrina nella fede Un dialogo con mons. Víctor Manuel Fernández, in La Civ. catt., q. 4158, 16.9.2023).
Un
atto di responsabilità pastorale, dunque, da parte di questi porporati al fine
di far comprendere ai fedeli, per un verso, che ci sono voci che gridano nel
deserto della dissoluzione odierna e, per altro verso, che stiano in guardia e
non si facciano disorientare dinanzi allo scoperchiarsi di un vaso di Pandora
dalle conseguenze imprevedibili per la fede ed, in generale, per la vita
cristiana (cfr. Roberto de Mattei, Il Sinodo sulla Sinodalità: un “vaso
di Pandora” dalle conseguenze imprevedibili, in Corrispondenza romana, 20.9.2023).
Augustinus Hipponensis
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