In questo
giovedì della Settimana Santa, soffermiamoci sul luogo del rinnegamento di
Pietro: la basilica gerosolominata di San Pietro in Gallicantu.
La basilica
del Gallicantu
di Pietro
Romano
L’abbandono,
il tradimento, la disperazione, la presenza salvifica di Maria Santissima...
Quanto abbiamo da meditare presso San Pietro in Gallicantu!
La chiesa sorge sul lato orientale del monte Sion. Verso la metà del V secolo, vi fu eretto un monastero bizantino dedicato alle lacrime di pentimento versate da san Pietro e non al suo tradimento. La chiesa del monastero era menzionata dai pellegrini con il nome di Chiesa delle lacrime. Dopo le invasioni arabe, tale cappella fu ricostruita dai crociati nel XII secolo e rinominata San Pietro in Gallicantu, per far memoria del gallo che cantò dopo che san Pietro rinnegò per tre volte il Maestro (cf Mt 26,69-75).
La Chiesa, edificata nei pressi del luogo dove si suppone sorgesse la casa di
Caifa, sommo sacerdote, dalla fine del XIX secolo appartiene ai padri
Agostiniani Assunzionisti, che nel 1888 compirono degli scavi archeologici,
riportando alla luce le rovine del monastero bizantino e un complesso di
grotte, facenti parte probabilmente di abitazioni del I secolo. Vi è anche la
cosiddetta prigione di Cristo, ossia il luogo dove, secondo la tradizione, il
Redentore passò la notte, dopo il processo avuto presso Anna e Caifa, prima di
essere consegnato a Pilato. Recentemente vicino alla Chiesa è stata scoperta
una strada a gradini di epoca romana, che dal monte Sion scende verso la
piscina di Siloe e verso il Getsemani. Quasi sicuramente per questa strada Gesu?,
dopo l’Ultima Cena, scese per andare con i suoi Apostoli a pregare nell’orto
degli ulivi.
Verso la casa
di Caifa: Gesù solo
Arrestato Gesù e legato con funi, i
soldati lo condussero via. Era solo. Nessun amico gli era rimasto vicino. Gli
Apostoli, infatti, smarriti e impauriti dal tintinnio delle catene e dal
luccicore delle spade, erano fuggiti, tutti. Le guardie fecero il percorso
inverso fatto poche ora prima da Gesù con gli Apostoli: attraversarono il
Cedron e risalirono sulla collina occidentale della città, dove si trovava la
casa del sommo sacerdote Caifa, dove, in un diverso appartamento, abitava anche
Anna, non più in carica, ma ancora potentissimo. Quel doloroso cammino fatto
dal Salvatore, ogni anno viene ripercorso da molti fedeli che, dopo la
celebrazione dell’Ora santa in compagnia di Gesù agonizzante fatta al Getsemani
verso le 20.30, si dirigono con le fiaccole accese e pregando il santo Rosario
verso la basilica del Gallicantu, attraversando la valle del Cedron e risalendo
la collina, sui passi di Gesù, per riparare gli oltraggi che Egli ricevette dai
soldati lungo tutto il tragitto e per colmare la solitudine in cui Egli si
trovò sin dall’inizio della sua Passione.
O tu che leggi, recati in spirito presso l’orto del Getsemani e accompagna Gesù
lungo la via che conduce da Caifa. Non lasciarlo solo anche tu! Confortalo,
aiutalo, in quella notte di fitte tenebre.
L’interrogatorio
e gli oltraggi
Due furono gli interrogatori cui fu
sottoposto Gesù, avvenuti in due fasi e sedi differenti, uno alla sera, dinanzi
ad Anna, e uno al mattino, davanti a Caifa e al sinedrio. La prima fase fu
religiosa: Gesù, infatti, venne imputato di delitto religioso e dichiarato dal
sinedrio degno di morte. Poiché tale sentenza aveva solo un valore teoretico,
non potendo il sinedrio eseguire sentenze capitali senza l’approvazione
dell’autorità romana, allora questi si rivolse al procuratore di Roma, aprendo
così la seconda fase del processo che si svolse dinanzi al tribunale
civile.
Il primo interrogatorio, verso le 2.00 del mattino, avvenne dinanzi ad Anna, il
quale interrogò Gesù circa i suoi Discepoli e il suo insegnamento. Egli rispose
rinviando alle testimonianze di coloro che lo avevano ascoltato insegnare e
predicare. Uno schiaffo violento concluse l’interrogatorio e Gesù fu consegnato
alle guardie del sinedrio perché lo custodissero sino alla seduta del mattino.
Stanchi e irritati per la notte passata insonne a causa sua, i soldati,
condotto il prigioniero in uno dei sotterranei, fecero del condannato l’oggetto
dei loro scherni: schiaffeggiato, sputato in faccia, insultato e bastonato.
Ancora oggi si può visitare la
prigione di Cristo, dove, nella penombra della grotta, si è invitati ad unirsi
alle sofferenze del Redentore, recitando il Salmo 88: «Mi hai gettato nella
fossa più profonda, / negli abissi tenebrosi. /Pesa su di me il tuo furore / e
mi opprimi con tutti i tuoi flutti. / Hai allontanato da me i miei compagni, /
mi hai reso per loro un orrore. / Sono prigioniero senza scampo, / si consumano
i miei occhi nel patire. / Tutto il giorno ti chiamo, Signore, / verso di te
protendo le mie mani» (Sal 88,7-10).
Gesù fu condotto da Caifa attraverso un cortile e «appena fu giorno» (Lc
22,66), probabilmente verso le 5.00 del mattino, fu tenuta la seconda seduta,
alla presenza di tutti e tre i gruppi del sinedrio. Molti falsi testimoni si
fecero avanti ad accusare Gesù (cf Mt 26,61; Mc 14,58), contraddicendosi tra
loro. Caifa, alterato per la situazione difficile, dopo la risposta di Gesù, lo
accusò di bestemmia, strappandosi le vesti. Scrive il Ricciotti: «Per rendere
più visivo e più impressionante il suo sdegno, il sommo sacerdote mentre aveva
lanciato il primo grido si era anche strappato l’orlo superiore della tunica,
com’era usanza di fare quando si assisteva ad una scena di sommo cordoglio; ma
in realtà se quell’uomo avesse mostrato palesemente sul volto i veri sentimenti
che aveva nel cuore, il suo aspetto sarebbe apparso illuminato di profonda e
sincera gioia. Egli infatti credeva d’esser riuscito a far bestemmiare Gesù, e
con ciò ad implicarlo nella sua propria condanna».
Il
rinnegamento di Pietro: il valore di uno sguardo
Tre volte san Pietro fu interrogato
se conoscesse Gesù, tre volte rinnegò e subito cantò il gallo per la seconda
volta, come gli era stato predetto dal Messia (cf Mc 14,72). Proprio in quel
momento Gesù, legato e circondato dagli sbirri, aveva appena terminato la
seduta notturna e veniva condotto nel sotterraneo, passando attraverso l’atrio
dove era stato acceso il fuoco. Udito il gallo, Pietro si scosse, guardò più in
là e vide che Gesù passava e che a sua volta lo fissava con uno sguardo d’amore
speciale. A quel punto Pietro, ricordandosi di quello che Gesù gli aveva detto,
«uscito fuori, pianse amaramente» (Mt 26,75). Scrive sant’Agostino: «Eccovi
dunque Pietro, un uomo che rinnega e che ama; che rinnega per debolezza umana,
che ama perché sorretto dalla grazia divina. Il giorno che rinnegò Pietro
scoprì ai suoi stessi occhi chi realmente fosse. In effetti era stato un
presuntuoso e con orgogliosa vanteria aveva, per così dire, sbandierato le sue
forze. Affermando: Signore, io resterò con te fino alla morte, aveva presunto
delle proprie forze [...]. E di fatto [...] prima che il gallo cantasse, quel
servo, pur così entusiasta, negò tre volte il Signore. E dopo che l’ebbe
rinnegato tre volte, cosa troviamo scritto nel Vangelo? Il Signore lo guardò e
[Pietro] pianse amaramente. Se il Signore non l’avesse guardato, Pietro non
avrebbe pianto» (Discorso 229/P, n. 3). A lui fa eco sant’Ambrogio che
commenta: «Tutti coloro che Gesù guarda, piangono. La prima volta Pietro
rinnegò e non pianse: perché il Signore non lo aveva guardato. Lo rinnegò una
seconda volta e neppure questa volta pianse, poiché non lo aveva guardato il
Signore. Quando lo rinnegò per la terza volta, però, Gesù fissò su di lui il
suo sguardo e cominciò a piangere con amarezza incontenibile [...]. Pietro
pianse, e con amarezza profonda; pianse affinché le sue lacrime potessero
lavare il suo peccato. Anche tu devi piangere la tua colpa con lacrime se vuoi
ottenere il perdono nello stesso momento ed istante in cui Cristo ti guarda. Se
ti capita di cadere in qualche peccato, colui che ti è testimone nel più intimo
del tuo essere, ti guarda per farti ricordare e confessare il tuo errore»
(Sant’Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, X, 89-90).
A ricordo di questo episodio, fuori
la basilica è stata posta una statua che rappresenta san Pietro accanto al
fuoco, nell’atto di rinnegare Gesù. Sotto si essa vi è la scritta: «Non novi
illum» (Lc 22,57).
La morte di
Giuda
La mattina si seppe subito della
cattura e della condanna di Gesù. Giuda allora per la prima volta si rese conto
delle conseguenze del suo tradimento e si disperò. Il suo amore per il Messia
era torbido e impuro per cui non seppe far prevalere la speranza del perdono. I
trenta sicli ricevuti per il tradimento gli divennero fonte di insopportabile
amarezza, come fossero arroventati e si recò al sinedrio per restituirli,
gridando di aver tradito sangue innocente, ma ricevette solo una fredda
risposta: «A noi che importa? Pensaci tu!» (Mt 27,4). Gettò le monete d’argento
nel Tempio, si allontanò mentre «l’amore suo per Gesù credeva scorgere davanti
a sé una rupe insormontabile per raggiungere la persona sempre amata. Da ogni
parte il traditore vedeva attorno a sé il vuoto. Una nerissima tenebra avvolse
allora la sua mente, ed egli fuggendo via dal Tempio», «andò a impiccarsi» (Mt
27,5).
Mai dubitare del perdono della
Madre divina. Secondo la mistica Anna K. Emmerick, il Redentore aveva accennato
alla Madre del prossimo tradimento di Giuda per cui la Vergine Maria pregò
compassionevolmente per il miserabile Discepolo. Ma al contrario di san Pietro,
che, secondo alcuni Padri, dopo aver rinnegato Gesù, si gettò ai piedi della
Madonna per ottenere il perdono e rialzarsi, Giuda si lasciò andare alla
disperazione, il demonio l’afferrò, lo condusse quasi alla pazzia e non fu più
capace di rivolgersi a Colei che avrebbe potuto aiutarlo.
O tu che leggi, ricordati che Gesù
ti guarda dal tabernacolo con sguardo d’amore, nonostante i tuoi peccati e le
tue miserie. Non disperare mai del suo perdono e del perdono della Madre sua,
anche se le cadute fossero gravi. Medita e piangi la Passione di Gesù e impara
da Maria Santissima a compatire le sofferenze del Redentore.
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